La politica che vorrei è un cambiamento profondo, una rivoluzione della coscienza, non un semplice spostamento di aggregazioni. E’ una politica che non ha paura di dirsi che le parole, svuotate di significato, non hanno senso e direzione se non combaciano con la realtà dei fatti.

 

E i fatti si misurano attraverso le azioni e comportamenti, che ci dicono chi siamo e come siamo davvero.

 

E’ inutile parlare di democrazia se dentro rimaniamo intolleranti, ancorati ai vecchi schemi individuali e, di conseguenza, collettivi. Se non capiamo cosa significano le parole che usiamo, se non diamo vita reale ai loro contenuti.

 

E’ una politica che parla nuovamente di “comunità” e non di “collettivo”, di condivisione reale prima ancora che di assemblee, consapevole che la politica pura, così come

la conosciamo, da sola non serve a nulla perché riprodurrà le dinamiche di sempre, le logiche e le strategie che l’hanno contraddistinta.

 

Una politica che capisca che la militanza procede insieme alla conoscenza, che il fare non può prescindere dall’essenza. Che prima si interroghi sui sensi condivisi che diamo alle parole, in un mondo che ha svuotato ogni concetto del suo significato profondo riducendolo a orpello linguistico. Perché le parole contano, ma conta soprattutto la loro declinazione nell’ambiente in cui muoviamo.

 

Una politica che sia umana, prima ancora che politica.

 

Che non abbia paura della diversità e che in nome della democrazia non livelli e non omologhi le differenze, che faccia della creatività di ognuno una risorsa per tutti, perché il vero tesoro sta nel lavorare insieme, consapevoli delle differenze.

 

Una politica che non sia qualunquista, che capisca che tutti hanno gli stessi diritti ma che non sono uguali davanti ai talenti e alle competenze, e che invece di livellare enfatizzi le differenze senza temere chi brilla e si distingue, ma che anzi promuova l’emergere di meriti e specializzazioni facendoli confluire in un insieme armonioso.

 

Una politica che riprenda il senso antico di comunione di esseri umani, equilibrando l’individualismo e la collettività senza schiacciare l’uno o l’altro concetto, senza passare da comunismi fanatici a individualismi epilettici in cui l’uomo si muove come lupo fra i lupi.

Una politica che sia anche cultura, psicologia, sociologia, etica e consapevolezza prima ancora che azione mirata al bersaglio.

Una politca in cui la prima istituzione in cui entrare sia il nostro cuore, liberando l’umanità oppressa da una scoietà abituata a ragionare in termini di strategie e comodità.

Una politica consapevole che le idee vanno prima misurate con il vero livello di consapevolezza, perché viviamo ancora nella caverna di Platone scambiando le ombre con la realtà.

Una politica che sia anche un nuovo umanesimo, che rimetta l’uomo, e non il profitto, al centro del mondo.

 

Che non abbia paura di chi la pensa diversamente e neanche di aderire per forza alle cose che non si sentono “vere”. Che non cerchi alleanze di comodo né strategie opportuniste, ma che parta da ogni alleanza di comodo e ogni strategia opportunista che ogni singolo, ogni giorno, applica nella sua vita per capire che se non cambia l’uomo non cambia neanche il suo modo di fare politica.

Che non applichi solo categorie ma scavi sempre cercando di spingere più in là il confine della conoscenza.

 

E’ questa, la politica che vorrei. E non la vedo, non la vedo da nessuna parte. Non ancora, né forse mai.

 

Francesca Pacini