Il fumare lo aiutava molto davanti alle donne a cui il fumo piace anche perché lo ritengono, e magari con ragione, un gradevole presagio dell’arrosto.

(Carlo Emilio Gadda)

 

Ho smesso di fumare due anni fa, dopo venticinque anni di onorato servizio alla Sigaretta.

Avevo provato di tutto: granuli omeopatici, cisterne di cerotti e gomme da masticare alla nicotina (con il risultato che, con pelle e bocca farcite di nicotina, la sigaretta era comunque appesa alla mia bocca).

E poi l’agopuntura. E perfino una specie di elettroshock alle orecchie (pareva funzionasse. A me ha irritato così tanto per la sensazione metallica provocata dal contatto elettrico che, appena fuori dallo studio, tutta incavolata ho subito acceso una sigaretta).

E la mia coscienza rimandava il momento. Come quella di Zeno, ogni giorno si ripeteva che era l’ultima volta.

Fumare ha sempre una scusa pronta. Fumiamo quando siamo emozionati. Fumiamo quando siamo arrabbiati.Fumiamo quando siamo annoiati. Fumiamo quando siamo felici. Fumiamo prima di pranzo per fermare la fame. Fumiamo dopo pranzo perché abbiamo mangiato. Fumiamo dopo il caffé. E anche dopo il cioccolato. E dopo il sesso. Insomma, fumiamo perché viviamo.

Un giorno me ne andai a un seminario di Easyway, di Allen Carr.

Me ne stavo lì, insieme ad altre dieci persone, a prendere coscienza della mia difficoltà a smettere. C’era una tizia, una signora grassa grassa, che aveva la faccia piena di cicatrici: la notte, quando si svegliava, si accendeva una sigaretta e poi si riaddormentava, bruciandosi.

Il seminario fu interessante. E divertente. Ma non smisi. A quanto pare, fui l’unica di quel gruppetto, l’unica sfigata che non riusciva a mollare la sua stampella.

Eppure, eppure quel giorno Francesca, la tizia che teneva il seminario, disse una cosa che in seguito rimbalzò più volte nella mia mente. Ci chiese di ricordarci come eravamo prima di iniziare a fumare.

Come eravamo. Come ero? Oddio, non ricordavo. Già, non ricordavo. La mia vita di "adulta" era stata accompagnata dal fumo. Sempre. Prima di quel momento, ero stata solo una bambina con i ricordi di una bambina: le maestre, le bambole, il gioco dell’elastico in cortile, con le amichette.

Mi resi conto, fra stupore e dolore, di non conoscere il mondo senza il filtro della sigaretta.

Sì perché la sigaretta rappresenta un confine, una frontiera tra noi e il mondo. Buttiamo fumo fra noi e ciò che ci circonda. Perchè ci aiuta, ci protegge, ci dà l’illusione della forza. Crea una nebbia che vela, come nella terra di Avalon.

Fu questa la molla che mi fece cambiare. Fu il fatto di non sapere come ero prima di una stupida sigaretta.

E piano piano, lentamente, l’idea di scoprire la mia "nudità", fatta solo di pelle senza tabacco, mi portò a quel mattino del 2006 in cui smisi di ficcarmi in bocca le sigarette. Non fu facile. Quattro giorni con la voglia di dare craniate sul muro, con il vuoto nella pancia dopo ogni pasto, con quel senso di lutto per una parte di te che se ne va.

E poi un mese duro, durissimo. Non è vero che smettere è facile. E’ difficile. Ma ne vale la pena.

La sigaretta è un’amante terribile, viene e si piglia tutto. Liberarsene vuol dire legarsi a sé stessi, come Ulisse fece con l’albero, e proseguire la navigazione.

Ma adesso sono libera. Di respirare, di annusare, di essere.

Penso a quante illusioni, a quante idee sbagliate. Come tanti, legavo al fumo la mia creatività. Quando scrivevo, ogni volta che dovevo elaborare un concetto strategico, o posizionare una parola difficile, mi accendevo la sigaretta.

Fu per questo che quando scrissi un libro, lavorandoci notte e giorno davanti a grattacieli di cicche sul posacenere, alla fine del viaggio i miei pomoni iniziarono a sibilare.

Non è vero, non è vero che le idee passeggiano sul fumo della sigaretta.

Tolto il fumo, le idee, libere, cominciano a correre a perdifiato.

E la scrittura ha proseguito. Le false illusioni sul fumo sono tantissime. Ma sono illusioni.

Non dico di aver vinto, sono prudente. Sono una che "per ora" non fuma. Ma dentro di me so di avercela fatta. Come? Lo so perché accetto il fumo degli altri, perchè a casa mia, o nel mio studio, chiunque può fumarsi la sua sigaretta. Quando sconfiggiamo davvero qualcosa, smettiamo qualunque crociata. L’intolleranza nasce sempre da qualche paura irrisolta. Chi diventa nemico giurato del fumo forse nasconde una tentazione inconscia, forse è ancora sedotto dalla sua amante tradita.

A me non fa più paura, il fumo.

Se qualcuno vuole fumare, lo faccia pure.

L’unica cosa che chiedo, magari, è di aprire la finestra per sentire il profumo dei gelsomini in fiore.

Quello sì, buono davvero.