Tutti abbiamo la nostra coperta di Linus.

Calda, familiare, confortevole, sta sempre lì. Se per caso si usura, eccoci pronti a crearne un’altra. Magari morbida morbida, più di prima.

E poi, poi senza copertina fa freddo.

Stare nudi davanti a noi stessi potrebbe provocarci una polmonite, esposti come siamo ai venti fracassoni dei nostri tormenti interiori, dei nostri limiti veri (e non di quelli presunti), delle nostre incertezze,

Se per caso proviamo a depositarla che accade?

 Brr. Freddo. Tanto freddo. Voglio la mia copertina, Voglio ciucciarmi il ditino.

Ci sono persone e situazioni che rischiano di portarci verso la soglia di un abisso.

Quell’abisso in cui, nudi, precipitiamo in noi stessi.

E allora fuggiamo via, spaventati. Ci infiliamo di nuovo sotto la nostra copertina, cuciamo gli strappi, laviamo con Perlana i colori, cerchiamo di nuovo la sicurezza.

Quante coperte di Linus ci sono?

Tante. Moltissime.

Possono essere i vari fidanzati, focolari, lavori, viaggi, palestre di turno. Perfino le ricerche spirituali possono essere trasformate in copertine di Linus.

Ovunque si trovi la nostra sicurezza, lì sta la coperta.

Ce la mettiamo addosso cambiandola nel tempo inseguendo il mutare dei nostri bisogni, delle necessità.

Ma c’è sempre l’attimo spietato della verità. Quello in cui osiamo guardare davvero.

La copertina fatata delle nostre proiezioni allora cede, si sfilaccia, mostra l’usura. A quel punto, molti corrono a procurarsene un’altra. Altri, invece, restano al freddo.

Impauriti, incerti, tremanti, restano lì.

Senza coperte la vita fa male. A volte penso che crescere significhi semplicemente accettare il dolore di essere non come vorremmo – o immaginiamo – ma come siamo.

Ecco perché, alla fine, ci tiriamo fin sopra la testa la nostra bella copertina di Linus.

Spegniamo la luce. Buonanotte.