La vita è un nastro rosa lanciato su un abisso

(Virginia Woolf, Diari)

 

 

 

Nel giorno delle manifestazioni per la famiglia, nel giorno degli orgogli laici, preferisco restarmene a casa a rileggere qualche pagina incendiata da un coraggio vero.

Sì. Perchè è facile manifestare e contromanifestare sventolando come santini al vento i propri colori di appartenenza,

Più difficile restare a casa a meditare su quanto accade: al di là delle smanie presenzialiste chi ha ragione davvero? Tutti. Nessuno.

In fondo, da ogni idea bisogna risalire alla realtà che si fa voce nel quotidiano, in ogni singolo evento sganciato dal pre-giudizio.

E tuttavia oggi la massa mi suggerisce un’assenza.

Dove sono, oggi, i fermenti vitali di Bloomsbury? Nel nostro tempo presente tutti manifestano come pecore dietro un pastore. Poco importa che questo pastore vesta la tunica bianca del padre o si annodi la cravatta politica.

L’importante è "esserci".

E il pensiero? Quello individuale, quello che si fa poi coro in una sperimentazione reale, al di là dei confini usuali?

Già, il pensiero. Quello che dissente. Che crea. Che osa.

Come sono tisici i nostri intellettuali di oggi rispetto ai bagliori fiamminghi del gruppo di Bloomsbury.

Tutti lì, i nostri, ognuno a tifare per la sua brava corrente ideologica, seduto sul divanetto di Mentana oppure di Vespa, la bocca piena di ciance masticate in continuazione (come fanno le pecore, appunto), la testa invasa da pensieri sommari.

Oggi non manca nessuno. Ci sono la gente comune, le autorità, i gruppi, i distintivi.

E mentre ripenso a Virginia Woolf, al suo gruppo che di ogni cosa faceva  domanda che richiede scavo, rileggo questa frase bellissima e allo stesso tempo spigolosa come uno schiaffo.

La vita è un nastro rosa teso su un abisso.

Eccolo, il benvenuto silenzio mobile, in cui la mente guizza sulla sua transitorietà in cerca di immutabile sponda, e fa da contraltare a questa giornata paralizzata da troppe parole.

Siamo così fragili, tutti. Siamo nastri gettati su questa esistenza, che procedono guidati dai movimenti dell’aria, basculando pensieri, agitando desideri e proiezioni destinate comunque a sfracellarsi su un suolo che non si raggiunge mai ma che alita, minaccioso, soffiando sul vento delle nostre paure.

Miserabili, piccoli uomini, stiamo appesi alle nostre idee facendo della massa la resistenza da opporre a questo abisso.

Ma tanti piccoli fiocchi rosa  scivolano comunque verso il loro destino. Che sia individuale o collettivo, il fiocco trema e oscilla davanti alla finitezza della sua condizione.

Uniti nei cortei, i piccoli fiocchi si illudono di essere "grandi", facendosi forza l’un l’altro.

Bene. Così sia. Ma quanta forza, invece, nel coraggio di accettare l’abisso di questa esistenza. Che contiene tutti quanti. Ogni corteo, ogni papa, ogni laico. Ogni idea e ogni giudizio.

Se penso al nastro rosa di Virginia, tutto il resto mi sembra così transitorio e ridicolo. E allo stesso tempo importante in quanto guado da attraversare.

E mentre avanza verso l’abisso, l’uomo può solo cercare sé stesso.

La forza di quelli di Bloomsbury stava in una ricerca di superamento del fiocco che però sbarrava l’accesso alle strutture mentali pantofolaie, cercando inconsapevolemente nel fuoco sacro della creazione un altro fuoco che solo l’anima, libera, può toccare senza bruciarsi.

E anche loro si sgretolarono sulla pelle di passero delle loro esistenze. Toccò a tutti. perlomeno, però, cercarono una voce fuori da coro.

Oggi, a Roma, ci sono invece troppi cori. E nessun solista.