Malinconia, Dürer

 

Nella sapienza antica in cui microcosmo e macrocosmo si specchiano nelle corrispondenze tra psicologia e astrologia, tra umori, temperamenti, pianeti, costellazioni, lo statuto di Mercurio è indefinito e oscillante.

Ma secondo l’opinione più diffusa, il temperamento influenzato da Mercurio, portato agli scambi e ai commerci e alla destrezza, si contrappone al temperamento influenzato da Saturno, melanconico, contemplativo, solitario.

Dall’antichità si ritiene che il temperamento saturnino sia proprio degli artisti, dei poeti, dei cogitatori, e mi pare che questa caratterizzazione risponda al vero.

Certo la letteratura non sarebbe mai esistita se una parte degli esseri umani non fosse stata incline a una forte introversione, a una scontentezza per il mondo com’è, a un dimenticarsi delle ore e dei giorni fissando lo sguardo sull’immobilità delle parole mute.

 

(Italo Calvino, Lezioni americane)

 

 

 

 

 

 

L’incisione di Dürer evoca – in modo assai suggestivo – la  malinconia. Ma cosa rappresenta nella nostra esistenza?

Uno stato dell’essere, certamente. Poi?

Cosa si fa di questa inquietudine che ci scava dentro?

Lo sanno bene poeti, pittori, narratori. 

Dalla malinconia nasce la misura della profondità. Non a caso l’incisione allude anche, nei suoi molteplici significati ermetico-alchemici, al dio Saturno.

E a Saturno gli Antichi facevano corrispondere, fra i metalli, il piombo. Il metallo più pesante.  

Dunque la malinconia è piombo sull’anima che vorrebbe invece, per sua natura, essere aerea.

Eppure è dallo scavo in profondità che poi si sale verso l’alto, verso le dimensioni rarefatte in cui dispiega il nostro battito d’ali.

 

Senza malinconia non c’è profondità, dicevamo. E senza profondità non esiste creatività.

Ogni genio, ogni artista vive insieme alla malinconia che si rintana in un cantuccio, come un’ombra furtiva ma costante. A volre esplode, altre sonnecchia. Ma è sempre lì.

Passa le sue giornate insieme a questa compagna ingombrante che assedia il  vivere costringendo alla riflessione, all’introversione, al ripiegamento in sé stessi da cui si ricavano i tesori nascosti.

E se l’amletico dubbio dell’ essere o non essere perseguita l’esistenza del malinconico, quello stesso dubbio diventa un quesito insistente che si trasforma in un bivio: rifiutare di essere oppure trovare strade alternative, possibilità nuove di esistenza, ponti gettati verso  il battesimo di diverse modalità.

Sottile è il limite tra malinconia e masochismo, tra introspezione e resa. In realtà la malinconia  è una spada, un’arma affilata con cui tagliamo le ostruzioni della superficialità. Viverla senza farsene fagocitare è la sfida di ogni scintilla del genio.

E dietro ogni umorismo brillante, ogni magnifico scatto dell’ironia, si nasconde un  pensiero uggioso.

Come fu per Chaplin. E per Gassman. E per tutti coloro che fecero della malinconia un moto creativo.

Per alcuni divenne arte.  Per altri, sublime ricerca spirituale.