Le persone profonde fanno fatica a stare a galla. Vero. Sono  inseguite dal disagio, dal dolore, da quella punta irritativa che buca sempre la pelle. Questo mondo, così com’è, come lo abbiamo voluto, è fatto per i superficiali. Per quelli che ancora credono che vivere sia un tuffo nella “Milano da bere”, una passeggiata nel Mulino Bianco con i suoi biscottini fatati, mentre  tutto intorno a me, a te, la Vodafone. Ma che c’è, lì, tutto intorno a noi? Un sacco di merda. Ed è quella merda che, come un alchimista, devi trasformare in oro. Sempre che tu riesca a creare un varco nel cerchio di Mediolanum, eh già, perché tu sei un puntino al centro, circondato, anzi accerchiato, da quelle associazioni a delinquere chiamate Banche, circondato da questo mondo economico e finanziario che casca a pezzi, come l’intonaco di una vecchia casa che non vogliamo cambiare. La crisi economica, forse, in mezzo a tanta angoscia ci aiuta a togliere i totem che ci hanno anestetizzato per anni, tanti, troppi anni. E ancora crediamo in un mondo fatto di successi ( o su – cessi?) patinati, pettinati, fatti in serie come una Coca Cola? Quelli che si sono svegliati a ceffoni adesso stanno accanto a quelli che, anche quando le vacche avevano la ciccia addosso (che grasse grasse, da noi, non sono state mai), dubitano, dubitano di un mondo fatto solo per i narcisi, i menefreghisti, gli acrobati, gli artisti dell’individualismo e del qualunquismo, del furto al prossimo perché importa solo arrivare alla meta.

Il circo è scoppiato. Bene, forse ritroveremo il sapore antico di qualche valore finito nel sottosuolo. O forse no, forse, come adesso, cercheremo di pensare che tutto tornerà come prima, e che il Produco Consumo Ergo Sono proseguirà, indenne, la sua corsa folle contro un muro che non sarà fatto di gomma.

In tutta questa ansia per il futuro, forse la vera domanda da porsi è la solita, vecchia domanda: chi sono? Dove vado? Ma, ancora meglio: dove sono? Dove sono, ora, dentro di me?

I disadattati, quelli che sembrano sempre gli eterni perdenti perché non si trovano a proprio agio nell’oceano di squali, hanno almeno capito la grande truffa di un sistema che all’uomo ha tolto la cosa più preziosa: la sua umanità. Einstein diceva: “dobbiamo diventare campioni di umanità”. Prima ancora che eccelsi scienziati, professori, manager, comunicatori… dobbiamo essere campioni di umanità.

Invece siamo  diventati come i Replicanti, sordi a qualunque test emotivo.

Campioni di umanità. Il dolore, quello vero, ha due strade: o ti chiude per sempre dentro te stesso o ti rende solidale. Peccato che, per noi, la solidarietà nata da una comune tragedia ha gli stessi tempi di un lutto, che nel giro di un anno viene comunque elaborato psichicamente; poi, tutto torna come prima.

Come per l’11 Settembre, “siamo tutti americani”. Siamo tutti uniti, solidali. E, alla fine, ciao, arrivederci, è stato un piacere. Perché è sempre così, che funziona. Le grandi tragedie creano una empatia con scadenza. Come uno yogurt che a un certo punto diventa rancido e va buttato via.

Peccato, perché se ci ricordassimo, ogni giorno, quel senso di unione, di dolorosa unione, forse saremmo quei campioni di umanità che, alla fine, sono davvero più preziosi di tutto.

Le persone intelligenti, sensibili, faticano a trovare gli spazi in un contesto che sgomita, sgomita, e opprime il prossimo per portare avanti se stesso.

Io, Io, Io.

I Pad. I Pod. I Phone.

E invece ci sono anche gli altri. Basta aprire gli occhietti per vederli. Camminano accanto a noi, ogni giorno.

Solo che, mentre corriamo, non li vediamo.

 

(Francesca Pacini)