Sicuramente la lista di amici su facebook si assottiglia dopo queste parole, ma ben venga: viaggiare leggeri è sempre un bene. Sono stanca di vedere il trionfo dell’Io, in questo valzer di banalità ed estensioni narcise. Se questo è un luogo democratico dove ognuno può dire la sua, anche io dico la mia. Apro la pagina e trovo piedi nell’acqua, costumi su una roccia, foto di colazioni pranzi cene e spuntini, frasi interessanti e significative per l’umanità come: Sto lavorando, Mi è uscito un punto nero, Ho mal di testa. Benissimo. Viva la libertà. C’è anche la libertà di dire, però: Dio che tristezza. Tutta questa epilessia fotografica e scribacchina ha un rovescio della medaglia, ci fa pensare di esistere solo se siamo qui, in “condivisione”. Ma quale “condivisione”? un Mi piace è davvero una condivisione? Ben vengano foto, video, stati d’animo e informazioni da passare, ma ci vuole un po’ di antico senso del pudore, e un pizzico di quella discrimazione necessaria a non diventare bulimici e acefali. Così restano la foto veramente carina (e non la sequenza di pose giornaliere per Vogue o per Il Libro della Cucina), l’album da far vedere agli amici, le riflessioni divertenti, quelle più serie. Insomma, quelle che traggono spunto da un fatto doloroso e comune, o che usano il sale dell’ironia sulla vita (che fa sempre bene) o che, e sono quelli che amo di più, condividono fatti importanti da conoscere, per intervenire. Certo, Facebook è anche arte del cazzeggio, del sano cazzeggio, ma se diventa, anche questo, unico strumento dell’Ego per sgomitare e farsi vedere, beh, allora parte della sua intelligenza si annacqua, diventa insipida.
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