Perché non basta un amore a scaldare il cuore?
(J. Amado, “Dona Flor e i suoi due mariti”)

Catherine è una donna che non passa inosservata. Ha un sorriso che le accende il viso e un fare sbarazzino, da ragazzina impunita, birichina, trasgressiva, che si mescola con la femminilità, davvero travolgente, con cui incanta il mondo.  Ma è anche una donna trasformista, capace di scimmiottare gli uomini, di prendere il comando. E’ lei, sempre, a decidere per gli altri. Non ama essere dominata, né recinta in uno spazio angusto: ogni gabbia la soffoca. Detesta il moralismo borghese, il livellamento di pensiero, le categorie filosofiche a cui preferisce la vita, nella sua immediatezza, nel suo trasformare in emozione ogni pensiero. L’esistenza pulsa, scorre, è come un fiume da navigare liberamente, senza mappe né ormeggi.
Nella Parigi del primi del Novecento, Catherine, ironicamente, indossa già i pantaloni. Pantaloni non solo metaforici ma anche reali. Come quando si traveste da uomo, si fa dipingere da Jim dei baffi finti e passeggia con i suoi due nuovi amici, Jules e Jim, fino a trascinarli in una corsa esplosiva, gaia, spensierata. Una corsa che è forse la scena più bella del magnifico film di Truffaut. Catherine (interpretata dall’abbagliante Jeanne Moreau) li sfida e corre, corre davanti a loro, in un tragitto che diventa inno alla libertà, fra vento e risate.
Jules e Jim sono grandi amici, vivono in sintonia. Amano l’arte, il teatro, la musica e, naturalmente, le donne. Ma fino a questo momento non hanno ancora trovato quella che gli acciufferà il cuore.  Ed eccola lì. Arriva. E’Catherine. Ha lo stesso sorriso di una statua greca di cui si erano innamorati, tempo prima, così come, ora si innamorano di lei. Entrambi. Anche se Jules è il primo ad accorgersene, a dichiararsi. Eccoli lì, che corrono, corrono, corrono, nel momento acerbo del loro triangolo, quello in cui la storia esiste già ma non è manifesta, è fatta ancora di cose non dette, di verità non conosciute. Si capisce subito, durante la corsa,  che lei  è il capitano di quella brigata, è la bussola del loro orientamento. Da quel momento, non ci sarà nient’altro che Catherine. Catherine che decide del loro destino, Catherine che oscilla tra l’uno e l’altro, Catherine che nel suo “sregolamento dei sensi” nasconde anche un’ombra fortissima, l’ombra di una ricerca perenne, di una cronica “bulimia esistenziale” che necessita di emozioni e cambiamenti.
I due amici, così diversi eppure così uguali, fratelli, condividono tutto e finiscono per condividere anche lei, in un triangolo irrevocabile, come il loro futuro.
Un turbine è entrato nell’esistenza di Jules e Jim. E la cambia per sempre. Con una suggestione profetica, è la stessa Catherine, una sera, a cantarlo ai due amici: “Quand on s’est retrouvés, Quand on s’est réchauffés, Pourquoi se séparer?Alors tous deux on est repartis Dans le tourbillon de la vie. On à continué à tourner
Tous les deux enlaces Tous les deux enlaces (Quando ci siamo ritrovati quando ci siamo riacchiappati perché separarsi Allora tutti e due siamo ripartiti
nel vortice della vita E abbiamo continuato a girare allacciati insieme allacciati insieme).

La scena, bellissima, rimane impressa nella memoria.

“”Catherine è una forza della natura che si esprime in cataclismi” dice Jules a Jim quando, dopo anni di separazione a causa del richiamo di una guerra che avrebbero volentieri evitato, si rivedono a casa di Jules. Jules vive con lei, l’ha sposata, hanno una bambina. Ma Catherine il vulcano, Catherine il cataclisma, non è felice. Manca qualcosa alla sua vita. Manca Jim.
·Lei li vuole entrambi perché entrambi si dedicano completamente a lei, esige la loro dedizione esclusiva. Con Jules ha provato a vivere una vita “normale”, fatta di tepore, fiducia, sodalizio. Una famiglia, una bambina, un tetto coniugale. Quello che tutte le donne vogliono. Tutte le donne. Non lei.  Lei ha bisogno delle montagne russe, del tuffo al cuore che toglie il respiro. Non è sufficiente vivere una vita in terza marcia, lei vuole innescare la quarta, e poi togliere il freno. E lo farà, un giorno. Lo farà davvero.
·Intanto, tra lei e Jim quell’amore sempre disinnescato dal senso di amicizia, dalla condivisione con Jim, appicca l’incendio. Uragani, tifoni, lande riarse, temporali e siccità che si alternano. Questa, la natura passionale del loro legame. E Jules assiste, ago di quella bilancia impazzita. Uno strano gioco di equilibri, contraltari, tensioni. Jim ha bisogno di Jules per contenere, e temperare, gli estremi appuntiti della sua relazione con Catherine, così come Jules ha bisogno di Jim per non perderla, per farla restare, comunque, al suo fianco.
·“ Ma chi possiede di più una donna: colui che la prende o colui che la contempla?”
·“Ci vogliono tutte e due”, disse Jules.
·Non è una vita facile, comunque, per Jules: tollera i due amanti, li ama, li ama entrambi, ma che è costretto, obbligato; senza di lei la vita non si affaccia neppure al pensiero.
Jim è  tuttavia meno plasmabile di Jules. E’ un passionale, esattamente come Katherine, e dopo un po’ la situazione diventa ingestibile. Sono due anime individualiste, le loro. Il libertinaggio di Jim si incontra volentieri con le insofferenze di Catherine. Ma Jim la ama davvero, la ama di un amore devastante, che toglie ogni resistenza, ogni via di fuga. Eppure un giorno la trova, la fuga. Fugge da quel ménage tormentato e infelice, da quel triangolo in cui ognuno, alla fine, perde pezzi di sé proprio per non voler perdere nulla. Lo dice in faccia alla sua compagna, accusandola di egoismo, di voler “inventare l’amore”, in continuazione, per provare sempre emozioni forti.
·Ha ragione, in parte. Ma questo è il modo di amare di Catherine. Non ne conosce altri. Ha bisogno di esclusività, di dedizione totale. E quando Jim troverà un’altra, una donna comune, più banale ma meno pericolosa per il suo equilibrio, Catherine arriverà alla conclusione fatale.
·Se lei non può averlo, non sarà di nessun’altra.
·Ed è così che quel triangolo, così perfetto, all’inizio, così naturale, finisce con un’amputazione.
·Catherine, Jules e Jim sono al quartiere latino, seduti a un tavolo.
·Catherine chiede a Jim di andare con lei in automobile. Jim la segue. Salgono in macchina quando lei esorta Jules: “Guardaci bene”. Guardarli bene. Sì,perché quello è l’ultimo sguardo. Un saluto scritto negli occhi penetranti, folli, di Catherine, un saluto che però Jim non è in grado di decifrare. Lo decifra  solo quando l’auto, velocissima, precipita davanti a lui nell’acqua, imboccando il ponte spezzato. Eccola, la vita senza freni di Cathe. Una vita che termina insieme a quella di Jim e che, in qualche modo, porta via con sé, per sempre, anche un pezzo di Jules. Nelle acque affonda la loro storia. La storia di tutti e tre.
·Jim sopravviverà, ma non dimenticherà quel “turbinio” di cui, però, si è liberato.
·Quel tuffo nell’acqua ricorda un altro tuffo, avvenuto tempo prima, in un’altra delle scene più belle del film: quando una sera, dopo il teatro, i tre amici passeggiano sulla riva delle Senna mentre Jules discetta sulla necessaria fedeltà della donna, “assassina dell’arte, stupida, corrotta”. Un momento di maschilismo che Catherine non accetta, non lei. E protesta gettandosi, all’improvviso, nelle acque della Senna. Voleva spaventare Jules, si era ribellata alle discussioni, ai suoi intellettualismi con un’azione, una dimostrazione imprevista. Così è Catherine. Purtroppo, anni dopo, il secondo tuffo, che sarà comunque sempre la rivolta estrema a una condizione imposta, non vedrà la faccia sorridente e beffarda di Catherine riemergere dall’acqua. Quel  tuffo in mare la inghiottirà. Stavolta, per sempre.