Viaggio tutte le settimane, in treno. E ogni volta, alla stazione di Falconara Marittima, in attesa della coincidenza, devo sciropparmi le cazoni diffuse dagli altoparlanti recentemente installati.
L’ultima “violenza” alle mie povere orecchie. La stazione dà sul mare, lo sguardo insegue le onde fino alla curva in cui muore il Monte Conero, che sprofonda nell’acqua deponendo a terra la città di Ancona. Di sera, nell’attesa, è bello guardare le luci che interrompono il buio. Peccato che, da qualche tempo, una orribile stazione radio funesti me e gli altri viaggiatori con il suo chiacchiericcio ininterrotto.
Non basta più la musica nei bar, nei ristoranti, nei supermercati…Adesso perfino all’aperto, alla stazione.
Mi sento aggredita. Sono stanca, stanca di questo mondo invadente che viola i silenzi, li teme come la peste, invadendo, strisciante, tutte le porzioni lasciate libere da aumobili, voci, rumori di ogni tipo.
Siamo la “lounge society”, la società (presunta) fica in cui l’ascolto di musiche varie è “cool”, di dà un senso metropolitano, globalizzato (sì, la globalizzazione della demenza).
Ci lobotomizzano, questi “rumori” imposti che annulano i pochi silenzi superstiti. Sono una forma raffinata e moderna dell’elettroshock. E così, anestetizzati e tranquilli (in realtà sempre più nevrotici) ci inquiniamo con note e voci che magari neanche ci appartengono, ma che subiamo, come ogni cosa ormai, dall’ennesimo scandalo politico allo sgarbo mentre fai la fila al mercato, con indefessa indifferenza.
Il silenzio fa paura, tormenta la coscienza che non può giocare a rimpiattino con sé stessa, agevolata dagli strilli quotidiani a cui ci sottoponiamo.
Duinque va combattuto, con ogni mezzo. E, si sa, i mezzi suadenti sono i più pericolosi, dato che incantanto…come un serpente.
E invece io vorrei tirargli davvero il collo, a questo serpente-radio che si diffonde e ondeggia nell’etere, insinuandosi nei miei pensieri, aggredendo lo spazio intorno. Spazio aperto, non chiuso.
SE un coglione qualunque nella sua auto vuole ascoltare Vasco Rossi a migliaiai di decibel, è libero di farlo (col finestrino chiuso, ovviamente), se in discoteca una massa di pecore vuole sciropparsi la disco music anni 80, perfetto. Ma invadere anche lo spazio libero, aperto, che appartiene a tutti e nessuno, è una vera intrusione.
Il bello è che non è un sottofondo, anzi. Si impone, arrogante, tutto il giorno.
E penso che la prossima volta tirerò la valigia contro uno di quegli altoparlanti.
E non pagherò i danni.