E va bene. Quest’estate è all’insegna delle ribellioni della tecnologia. Dopo il blog impallato, ecco che arriva il cellulare con la scheda im-mobile. Già, perchè decidi, onorabile figlia del progresso, di dare l’estrema unzione alla tua vecchia scheda Sim, un aggeggio del Pleistocene che ti ha servito fedelmente per molti anni, ma la cui memoria esigua (16 kbite) non riesce più a contenere il volume di numeri che stai aggiungendo. Così ti decidi a fare il grande passo, il trasloco della scheda. Tanto ci vuole solo un’ora, ti dicono, uno stand by fra i due passaggi di proprietà, poi a un certo punto arriva la fumata bianca, e la nuova scheda, alè, è riconosciuta e accettata dal Grande Telefono. Bene, bene. Procediamo. E per sicurezza, la sera prima ti decidi a copiare con certosina pazienza i numeri di telefono su un supporto cartaceo (lo diciamo tutti tante volte, non lo facciamo mai. Ma se i telefoni si rompono? Se le schede vanno in vacca?). Un’ora per più di duecento numeri. No non male, sei il Valentino Rossi della penna gel a inchiostro nero. Comunque a questo punto ti senti "al sicuro", con una garanzia per il futuro dei tuoi numeretti. Insomma, un investimento…su carta. Arriva la mattina seguente, cioè stamani, e tu – tutta gongolante – metti la nuova Sim card sul telefonino, e ti appresti ad attendere l’ora prevista da quando chiami il centro per l’attivazione al momento in cui la carta diventa attiva. Solo che…non succede nulla. Nulla. La Sim card è muta. Morta prima ancora di essere nata. E ricomincia l’uragano Katrina che ti aveva devastato "le interiora" quando il blog era bloccato. Passano due ore, il nulla. Dopo tre, ancora il deserto. Per di più al centro Tim sono in pausa pranzo. E San Michele di Senigallia stavolta non può salvarti, lui è il santo dei computer, per i cellulari ci sono altre gerarchie celesti e tu non conosci le parole di passo. E ripensi di nuovo a Tiziano Terzani e vorresti essere nell’Himalaya per scordati della telefonia mobile, immobile e di ogni sua stirpe. Ma non ci stai, nell’Himalaya, e vivi in città, nell’era del Grande Telefono. "Tutto intorno a te", col ditino a cerchio sul mondo. Beh, in quel momento non  pare proprio. Niente ditino…e niente mondo. E pensi che in quel lasso di tempo fatidico in cui sei un utente irraggiungibile, spiacente, ti chiamino per lavoro, ti propongano una serie sinergie per progetti importanti, ti annuncino la vincita di un viaggio alle Maldive (meglio a Cuba); pensi che il Principe Azzurro ti avvisi del cambio da un solo cavallo a cento (infatti ti informa: arriva a prenderti in automobile, ma arriva…), che un grande quotidiano ti contatti perché ha bisogno di te come caposervizio alla cultura, che il Presidente della Repubblica venga in visita a casa tua per darti una medaglia d’onore (a cosa non importa, ma l’onore, capite?), che Bush ti telefoni per chiederti cosa deve fare con i piccoli incidenti che turbano i suoi viaggi a Camp David, che i Libanesi invece ti facciano un indovinello dalla cui risposta dipenderà la vacanza cronica di Hezbollah…e a un certo punto ti ritrovi, di nuovo, davanti a  quella sensazione comica della crisi di astinenza da tecnologia. Ecco, senza cellulare il mondo si è come fermato. Davvero? E una volta come facevamo? Possibile che adesso siamo tutti così dipendenti? Che magrado le lamentele alle prima occasione ci cadiamo sempre con tutte le scarpe? Non possiamo fare a meno di Vodafone per guardare sul serio il mondo intorno a noi, e farlo senza parlare come matti da soli, gesticolando nell’aria? Intorno a noi…la follia? Ma siamo nella Matrice e uscirne è davvero dura. Berciare sui cellulari con l’illusione di governare il mondo, mentre invece è il Grande Telefono che governa noi. Quando la Sim card finalmente si attiva, e tu hai tutto di  nuovo intorno a te, ti rendi conto che invece la cosa di cui hai davvero bisogno…è di un poco di silenzio dentro. Non intorno, proprio dentro.