Chiariamo subito una cosa: io di finanza non m’intendo. E non m’intendo troppo neanche di economia, di new economy, di politiche economiche e finanziarie mondiale.

Ma una cosa credo di averla: la testa. E un po’ mi informo, come tutte le persone curiose.

E mi sembra assurdo lo stupore globale che lega Tokyo a New York, Londra a Barcellona.

Forse perchè nessuno ha mai considerato che il magnifico, pluripremiato sistema occidentale potesse un giorno andare in crisi. Perchè la maggior parte di noi lo ha considerato un po’ come fa con le malattie più brutte: remotamente possibile ma certamente evitabile.

E’ questo il vero vizio di forma della situazione. Credere, ingenuamente, che il Denaro presunto generasse altro Denaro presunto, in un gioco (gioco, appunto, e quando si gioca si può anche perdere, si può perdere tutto) di scambi continui in un mercato virtuale in cui il denaro giocato non corrispondeva alla reale liquidità a disposizione.

Una vetrina maestosa, sostenuta dalle banche e dai governi politici che ne hanno fatto il pilastro del nsotro sistema mondiale. Bel sistema.

E’ vero, nei giochi di Borsa conta soprattutto la fiducia. Fiducia nell’espansione, nel fatto che le cose andranno bene. Fiducia nei mercati e nell’economia.

Questa fiducia religiosa ha alimentato il pianeta credendo a una sorta di verità…non rivelata.

Aderendo a dogmi, liturgie e acefale devozioni che neanche davanti all’evidenza di un mondo che dal 2001 ha accelerato la sua discesa verso l’inferno mostrando tutte le crepe di un Occidente che si credeva inviolabile.

Ma l’Occidente, la Borsa, le poliche sono fatte dagli uomini. E sbagliano, gli uomini. Accidenti se sbagliano.

Ma non è bastato vedere che il Titanic aveva sbattuto contro un inceberg, si è creduto di tappare la falla con una striscia di nastro adesivo.

Finché sotto la pressione di un sistema globale basato sull’esaltazione di un denaro immateriale, sulle speculazioni, sulle astuzie e sugli sfruttamenti non è scoppiato.
Mi sorprende la faccia tosta di Berusconi (ma potrebbe tranquillamente essere quella di Weltroni, se avesse pensato lui, da Capo del Consiglio, queste castronerie) che rassicura gli italiani dicendo che "noi siamo in salvo", che le nostre banche sono sicure.

E’ come dire che se il cancro ha aggredito la nostra testa i piedi possono stare invece tranquilli.

Minchiate. Non puoi esser parte di un sistema pulsante globale, esserne legato e condizionato  a livello micro e macroscopico per poi tagliarti fuori e dichiararti autonomo all’improvviso.

Il sistema economico-finanziario è come un grande corpo vivente di cui gli stati occidentali (e non solo) sono le parti anatomiche. Non si può amputare una gamba e pretendere di farla camminare da sola, senza la testa.

Preferirei l’onestà. Preferirei che ci dicessero, realmente, che siamo tutti nella merda (perchè anche chi non ha investito in Borsa risente ovviamente di questo tsunami internazionale che avrà ripercussioni serissime sulla vita di tutti).

Io non sono uno di quei geni della finanza. Ma da anni sono sempre stata convinta di una cosa: che l’unica cosa saggia da fare, per chi può permetterselo, sia comprarsi un fazzoletto di terra e una casetta. Perché fra un po’ sarà quello, e non il titolo bancario, il vero bene da possedere. Sarà l’unica cosa reale, tangibile, di cui avremo bisogno. E sarà in via di estinzione, braccata da cementi e inquinamenti e inutili estensioni metropolitane.

Una visione apocalittica?

Forse.

Ma io vedo questo pianeta morire, ogni giorno di più. E anche il nostro osannato sistema occidentale si rende conto che ci sono ferite difficili da sanare, se ne rende conto quando tocca davvero il cuore del suo funzionamento, e in questo senso dirò, non tutto il maleviene per nuocere, abbiamo bisogno di una profonda, seria interrogazione. Non basta prenderci in giro con la raccolta differenziata o le eco-proteste, con le macchine elettriche o i deodoranti senza spray, dobbiamo andare oltre e vedere che senza una rivoluzione globale, una conversione di intenti e situazioni la deriva è già qui, adesso.

Un pezzo importante ha cominciato a franare. Forse è ora che qualcuno si accorga della situazione reale.

La Borsa è diventata una specie di Golem autonomo che ha preso piede governando paesi e persone.

Ma io, alla Borsa, preferisco la Vita.

 

 

Il 4 ottobre Shaun Dikes si suicida, buttandosi dal piano superiore di un parcheggio a Derby, in Inghilterra.

Ha solo diciassette anni, Shaun.

Diciassette anni che si sfracellano su un marciapiede. Troppo pochi per morire, troppi per volare via come un angelo immune alle  ferite.

Una vita brucia in un attimo, come un fuoco d’artificio. E a volte, a volte ci sono dei cretini che ti aiutano ad accendere la scintilla fatale.

Non era solo, quel giorno. Sotto di lui, mentre i poliziotti tentavano faticosamente di dissuaderlo, tra la folla di curiosi  (laddove c’è odore di morte, chissà perché, si raduna la morbosità collettiva) alcune voci incitavano il salto nel vuoto, ostacolando il salvataggio.

"Dai, buttati, vediamo se rimbalzi!". "Dai, che ti faccio un video".

Imbecilli. Delinquenti. Scarti dell’evoluzione umana.

E lui lo ha fatto. Si è lanciato come un angelo caduto dal cielo. Ma non aveva le ali, Shaun. Solo carne, e ossa frantumate nell’impatto con il suolo.

E loro, quegli omuncoli, quei ragazzetti privi di una coscienza fuggita chissà dove, hanno ripreso, con un brivido sulla pelle, il volo della morte.

L’hanno perfino diffuso su internet.

E così un diciassettenne se ne va in un giorno qualunque incitato da gente qualunque, facce mai viste che però avevano la voce dei suoi demoni, quelli che lo perseguitavano, lo deprimevano, lo spingevano giù, verso abissi neri di notti senza luna. Le creature del suo sottosuolo avevano vestito abiti umani, quel giorno, presentandosi alla sua Samarcanda.

E’ così che finisci, oggi. Diventi carne da macello, comparsa per un video sinistro che spettacolarizza la morte, una morte che non siamo più abituati a temere, a onorare, a rispettare.

Nel mondo dei video, di internet e della telefonia la vita e la morte hanno la stessa sostanza. Non importa, non fa differenza.

E a me fa schifo, questo mondo così "moderno". Mi fanno vomitare quelli che stanno facendo piazza pulita di ogni umana decenza, che vivono come se fosse tutto un gioco, un reality dove saranno Famosi nelle loro isole quotidiane, squallide, fatte di bocconi di esistenza rubati ad altri, di voyerismo gratuito, di parole e gesti orfani dell’intelletto.Grigiori scambiati per perle, anestesie cerebrali che corrono sul filo del virtuale.

Non è virtuale, la morte. Anche se la diffondi su internet e lì non puzza, non manda odori nauseabondi, non macchia di sangue chi la sfiora, non ha la consistenza delle tre dimensioni.

Non ci sono solo i crimini neri, ci sono anche quelli che nascono dall’indifferenza, dalla volgarità, dalla superficie scivolosa dove nulla si ferma, mette radici.

Quel giorno Shaun è stato ucciso premendo il grilletto della stupidità. Non ci voleva molto, per una creatura fragile, depressa, fare l’ultimo passo verso il salto mortale, quello senza ritorno. Un piccolo passo avanti. Una voce. Ancora un passo. E tutte quelle facce laggiù, che aspettavano che lui facesse l’eroe, che si immolasse per la loro barbarie. I cellulari sollevati in alto, come calici durante un brindisi. Cin cin, Shaun. Chiudi gli occhi. Ci sei. Cin cin.

 

 

Di nuovo compare lo spot Telecom (>>potete vederlo qui) che schiera Gandhi involontario testimonial. Si può anche andare sul sito: www.avoicomunicare.it

Io dico: bah. Come nel 2004, quando uscì l’acclamatissimo spot. Bah.

Le innegabili suggestioni dello spot con il suo ritmo, la musica evocativa, le inquadrature magnifiche che ci mostrano un Gandhi commosso e commovente non bastano a ingraziarmi, a farmi piacere l’operazione di marketing.

Già, perchè i pubblicitari hanno ben capito che non va più di moda la fuffa anni 90, quella della Milano da bere, delle modelle coca e anoressia, dei modelli sociali costruiti sugli status symbol di un benessere che man mano ha mostrato le crepe, di un lusso che scotta come una patata bollente in un mondo che recede.

Ecco allora la geniale virata ispirata da modelli alti, filosofici, ispirati ai valori. Più in sintonia con i disagi crescenti degli utenti. Fioccano le filosofie zen traslocate nel ghiotto mondo dei manager che all’improvviso capiscono che unire mito e marketing, filosofia e comunicazione, spiritualità e vocazione imprenditoriale significa colorare di "buono" il successo, profumandolo di  nobilità.

E infatti arrivano centinaia di manuali che abbinano yoga e attività commerciale, meditazione e resistenza allo stress, benessere interiore e benessere economico, avventura filofica e gita metropolitana negli affari.

Non li ho mai retti, io, questi "manager zen". Questione di gusti.

Comunque, la pubblicità fa suoi questi modelli. Ora la filosofia è trendy, le vette spirituali si uniscono ai cocktail serali, lo yoga indica l’arte del commercio…

Dunque spuntano le pubblicità "etiche", quelle  legate alle grandi questioni filosofico-etico-spirituali del nostro paese. La Fiat ci fa tirare fuori i fazzoletti con uno spot legato ai significati storici e morali dell’essere uomini, addensando italiche suggestioni e nuovi cinemi paradiso, l’Enel si lancia in metafore "elettriche" sull’energia interiore dell’uomo, quella dei geni creativi in cui si accende la lampadina di Archimede, salvo poi presentare la salatissima bolletta dell’energia…ehm…esteriore e domestica. Il Mulino Bianco si comporta come vivessimo ancora i tempi del baratto, e si circonda di gnomi notturni e bambini celestiali.

E Gandhi arriva alla Telecom. Un testimonial eccellente, intendiamoci. Ma che ne avrebbe detto, lui? La globalizzazione auspicata da Gandhi non era certo quella delle telecomunicazioni. One world,  dice lui nello spot mentre la frase, a ribadire il concetto, compare anche in un testo a sinistra dello schermo, a caratteri maiuscoli (molto usato, nella pubblicità emozionale, il ricorso a scritte visive che rafforzano e fissano i concetti espressi oralmente). One world. Ma siamo sicuri che il povero Gandhi intendesse riferirsi ai vari Tutto intorno a te della Vodafon, ai Bla Bla Blasi della Tim e ai vari Tu, senza confini e Connecting people?

Gandhi parlava di un mondo unito dalla coscienza del cuore. "Che mondo sarebbe, oggi, se avesse potuto parlare così"?  recita furbacchiotto lo spot del 2004 per commuovere e incantare gli utenti.

Balle. Esattamente lo stesso mondo, sarebbe stato. Anche prima di Telecom, la storia è sempre stata la Storia, nel bene e nel male, facendo arrivare comunque e ovunque i messaggi (abbiamo avuto, ahimé, global stars come Hitler…). Vorremmo forse dire che con le nuove telecomunicazioni a parlare saranno solo i pacifisiti, i filosofi, gli ecosostenitori del pianeta? Palle. E non sarà certo Telecom a fermare la violenza nel mondo (e pensa a quanta violenza quotidiana si devono sciroppare i poveri utenti Telecom fra prepotenze, furbate, salassi economici, beceri dispettucci a chi diserta per nuovi gestori e quant’altro). Insomma davvero pensiamo che le nuove tecnologie e il connecting people ci salveranno? Guardiamo cosa succede in Cina, in cui l’imprenditoria mondiale, che ora finalmente vede aprirsi scenari succulenti per i suoi affari nella repubblica popolare, cerca di restare nella panchina della comunicazione in questa versione circense delle olimpiadi che giustamente schiera atleti e politici, sport e problemi politici. Meglio tacere per non perdere il flusso gigantesco di affari presenti e futuri. Anche qui, basta usare messaggi di comodo (in fondo sia sport che la filosofia hanno alle origini un valenza morale, etica, si fonda sulle virtù migliori dell’uomo). Come ieri sera, quando sulla 7 il placido signorino Elkann, in Cina, alla domanda del giornalista su come mai non fossero proprio le aziende che fanno affari con questo paese a manifestare contrarietà verso le “ombre” cinesi (un genio, quel giornalista. Aveva studiato alla Lapalisse school of investigations) lui risponde, candido candido: “Ma nooo, che c’entra! Le Olimpiadi sono una bella occasione e portano positività (al doping?) E la Cina si sta dimostrando organizzata efficace. Uno sforzo da lodare, uno sofrzo incredibile. Vuole cambiare molto più di quanto si crede”. Sì, certo. Alicio nel paese delle (per lui) meraviglie (di fatturato).
Ecco perché certe ipocrisie pubblicitarie mi danno fastidio. Sono messaggi artificiosi, strumentali.
Forse, alla fine, preferisco la bella donna che insegue un’ automobile in una spiaggia da sogno, sospesa ai limiti del mondo: icona dell’effimero, dei valori aggiunti che diamo alle cose per venderle. Bene, viva la sincerità.
Meno “buonista” ma più sincero.
Tra l’altro, è buffo che la Telecom sbandieri con toni commossi la comunicazione globale tirando in ballo perfino Gandhi quando tu, povero utente (ma sempre inserito nel mondo globale) non riesci neppure a comunicare con loro quando fai il numero verde per segnalare un guasto o chiedere lumi su una bolletta. Sei trascinato da una vocetta metallica in un labirinto di numeri prego prema il tasto 1 2 3 4 5 6 7 8….che fanno uno slalom strategico pur di impedirti di parlare con l’operatore (trovare lui è come trovare il Graal) che, almeno per ora, non è un robot né un replicante.
A proposito, conosco persone che hanno lavorato nei call center della Telecom e durante la loro formazione vi assicuro che i discorsi ficcati in testa ai futuri dealers erano tutt’altro che “gandhiani”, benevolenti e tolleranti.
Ma, come al solito, si predica bene e si razzola male….
Pronto Gandhi? Pronto? C’è nessuno? Bip. Se desidera ascoltare il messaggio del Mahatma prema il tasto 2. Se desidera pagare la bolletta prema il tasto 3. Se desidera conoscere le nostre ultime promozioni prema il tasto 4. Se desidera segnalare un guasto prema il tasto 5. Se desidera parlare con un operatore prema il tasto 6, e resti in attesa…tutu..tutu…tutuuuuu, spiacente riprovi più tardi, i nostri operatori sono tutti occupati.

 

Sì, fra poco trasloco. Cambio casa. Finalmente avrò una terrazza. E finalmente i miei due gatti saranno felici di smettere i panni della mummia imbalsamata, se ne staranno con la testa sotto il cielo aperto e cacceranno lucertole (che io baratterò in cambio dei crocchini. Non riesco a vedere i gatti quando torturano gli animaletti che beccano in giro, lo so ma è più forte di me..).
Ebbene, vista l’area significativa di questo terrazzo, comincio a sognare come arredarlo. Tante piante (e un irrigatore automatico) e magari anche un gazebino, o una tenda. Oppure un bel pergolato di legno, perché no?
In fondo Roma è piena di balconi e terrazzi arredati in modo delizioso. La maggior parte è coperta (fateci caso, io da due mesi circolo con il naso all’insu) da verandine o tettoie in legno.
Anche io, anche io!
Ma vengo subito bloccata da persone competenti (zio architetto, amico ingegnere edile, ecc.) che mi dicono di stare attenta: oggi non è permesso fare quasi nulla per rendere il terrazzo vivibile.
Allora vado al mio Municipio, dove un funzionario edile rovescia tutti i miei sogni dicendomi – con un sorrisetto sadico – che non si può mettere nulla ad accezione di una tenda con appoggio laterale, solo sui sui muri. Dunque per forza di cose una tendina interdentale. Nessuno "scheletro" può finire a terra – mi dice –  nessun tetto di nessun materiale può coprire il cielo.
O meglio sì, si può fare chiedendo una variazione prospetti alla DIA (non chiedetemi di più, è già tanto per una disordinata come me!) per la quale occorre avere un permesso rilasciato dalla maggioranza assoluta dei condomini. Tutti devono optare per il sì. E’ come pretendere di far girare la terra al contrario.
Me ne vado via, sconsolata.
Poi oggi, girando su internet per vedere un po’ che di dice a Roma a proposito di verande e altre costruzioni (anche minimal) mi imbatto nel sito del comune che – toh – invita all’abuso.

Ecco il link: http://www.comune.roma.it/was/wps/portal/!ut/p/_s.7_0_A/7_0_21LmenuPage=/Area_di_navigazione/Sezioni_del_portale/Municipi/Municipio_I_(1)/Altre_informazioni/Case_e_Servizi/Abitare/L’arredo_di_terrazze_e_giardini/

Cito testualmente:

L’ARREDAMENTO
Ecco alcuni consigli per l’arredamento dei vostri terrazzi o giardini:
- diversificate le zone, creando un’area conversazione, magari anche un angolo per poter mangiare all’aperto, e una zona più verde, che vi ripari da sguardi indiscreti, migliorando il paesaggio;
- create una copertura mobile, facilmente smontabile e di pratica manutenzione, per proteggervi sia dall’eccessivo soleggiamento diurno sia dall’umidità serale;
- potete scegliere tra arredi in legno, in ferro battuto, in ghisa, in midollino, in giunco intrecciato. Corredate il tutto con cuscini asportabili e lavabili;
- create un ripostiglio per gli attrezzi da giardino, e soprattutto provvedete a proteggere l’arredo esterno durante il lungo inverno.

IL GIARDINO D’INVERNO
Se avete un balcone potete adattarlo a ‘giardino d’inverno’: uno spazio vetrato piacevole da vivere. Scegliete, però, il lato sud della casa in modo che la veranda possa essere un riparo dal clima esterno, integrando il sistema di riscaldamento della casa.
Sarà uno spazio ideale per le piante che amano il caldo, la luce e l’umidità e per quelle che necessitano di un ricovero invernale per continuare a fiorire.
dovete comunque prevedere, nella progettazione della veranda, le aperture per l’areazione dell’ambiente, onde evitare il formarsi di condensa.
Se avete un giardino, potete costruire una serra che, addossata ad una parete della casa. può ampliarne lo spazio abitabile in alcuni periodi dell’anno (serra ‘di appoggio’). Oppure potete optare per la classica serra ‘a capanna’, se lo spazio a disposizione lo consente.
Il materiale da utilizzare per la struttura può essere il legno, il ferro o l’alluminio.

Fantastico. Il Comune smentisce il Comune.

Leggendo sul sito, senza informarsi altrove, uno viene…arrestato. Ci sono, elencati, tutti gli abusi, ma proprio tutti.

La cosa ha del sovrannaturale.

E’ talmente ridicola. La solita figura dei pecioni. Non c’è niente da fare, le istituzioni amano tanto fare le cose alla carlona.

Ma che il sito del Comune arrivi a disinformare istigando addirittura i cittadini alle violazioni edilizie mi pare un po’ troppo.

Che faccio? Mi stampo la pagina e se qualcuno mi dice un giorno di tirare giù il mio gazebino di legno la brandisco come un’arma??

Bah. E ancora bah.

Il vero abuso, qui, è quello di chi occupa posti pubblici per fare e dire cazzate…

 

 

Succede a Roma. La Cassazione assolve il signore Giuseppe G., un quarantenne di Perugia a cui viene consentito il possesso di un etto di erba “ma solo per motivi religiosi”. L’episodio di cronaca è raccontato da Repubblica dell’11 luglio, a pagina 19.
Il signore in questione è un seguace di Ras Tafari, l’Imperatore che salì al trono d’Etiopia nel 1930 con il nome di Halie Selassie I. I suoi seguaci, fra cui Bob Marley, si considerano la tredicesima tribù d’Israele, seguono le leggi di Mosè, usano solo prodotti della terra e si astengono dall’uso di droghe ad eccezione della marijuana, considerata sacra.
Ecco la giustificazione della sentenza:

“Non sfugge infatti che, secondo le notizie relative alle caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale, ma anche come erba “meditativa”, come tale possibile apportatrice dello stato psicofisico inteso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che l’erba sacra sia cresciuta sulla tomba di re Salomone, chiamato il Re saggio e da esso ne tragga la forza, come si evince da notizie di testi che indicano le caratteristiche di detta religione”.

Evviva.
Ora, alcuni di noi, nei periodi fricchettoni della loro adolescenza, quando si diventa conformisti nella ribellione, si sono fatti le canne. E si sono sciroppati i postumi delle sessantottine espansioni della coscienza condite di letteratura e misticismo.
Io per esempio ero ebbra di quella letteratura “maledetta” che passava per “Le porte della percezione” di Aldous Huxley, “I paradisi artificiali” e altre opere di Baudelaire (“toi, mon semblable, mon frère”), le “déréglement des seins” di Rimbaud. E poi, poi ancora i viaggi fra gli stregoni di Carlos Castaneda, quelli on the road di Jack Kerouac…E la musica, le visioni dei Pink Floyd, dei Doors, quel cercare l’ebbrezza di una conoscenza “altra” che ricollegasse l’uomo alla sua essenza divina.
E sì, sì, ho fumato la famosa marijuana alla ricerca di un’espansione della coscienza. Dunque so di che si parla. E so quanto sia facile trovare agganci mistici per giustificare le nostre evasioni. Una mia amica, una sera, fissava le onde del mare dicendo che Dio le stava parlando. Ma le droghe non aiutano a trovare Dio. Non, perlomeno, se usate a casaccio, se estrapolate da determinati contesti sacri molto, molto particolari, come quelli degli antichi indiani d’America. In quei casi la droga è – meglio era – inserita in un rituale preciso, una condizione canape di creare speciali omologie Cielo Terra, aprendo un varco verso le stelle. Ma si tratta di eccezioni. Oggi poco rimane, di questo uso arcaico che in realtà ha creato molte mistificazioni ed equivoci.
L’uso di droghe è corrosivo, dunque certamente può aiutare ad aprire determinate porte ma ci vuole tanta, tanta cautela. E si finisce per scambiare il dito con la luna. Un po’ come nell’arcano dei Tarocchi chiamato – appunto – La Luna.
Del resto, perfino Don Juan, lo stregone di Castaneda, ammette che il ricorso ai magici funghi va fatto solo quando l’uomo da solo non riesce ad ascoltare la spiritualità che tutto pervade.
Infatti i padri esicasti, nel deserto, non si facevano nessuna canna. Né sgranocchiavano alcun funghetto.
E, come loro, mistici e santi di ogni latitudine e longitudine non si sono certo drogati per poter godere della visione di Dio.
Ma, ahimè, meditare costa fatica. Bisogna impegnarsi, litigare con quella birichina della mente che schiera subito in campo una moltitudine di pensieri, scendere in fondo a sé stessi pian piano, ascoltandosi nelle minuscole pause fra un rumore e l’altro.
Ingoiare una pillolina (pillola rossa o pillola blu?, domandano in Matrix) forse è la via più veloce…ma siamo sicuri che sia quella giusta?
Credere di cercare Dio per evadere dalle tristezze del quotidiano scomparendo nei fumi di un gigantesco cannone è una grande paraculata. Una fuga. Un disimpegno. Un affidarsi per l’ennesima volta a qualcosa di esterno a noi. Meglio, allora, accendersi uno spinello dicendosi la verità. Cioè che ne abbiamo voglia, che ci distende, ci rende un po’ brilli, un po’ fatti. Che solleva i veli dell’inibizione. E ci aiuta a socializzare. E a dormire.
Che poi qualcuno, da qualche parte del mondo, sia ancora in grado di fare un uso sapiente di queste sostanze è altra faccenda.
Spesso e volentieri ( non dico sempre, ma ribadisco: spesso e volentieri) la canna del rasta rimane una scusa, un falso condimento spirituale per una libertà che, invece, andrebbe cercata a fondo, nelle radici dell’essere, là dove nessuna sostanza stupefacente riesce ad arrivare.
Sentire Dio (o Buddha, o Maometto, o Intelligenza Universale, o come lo si voglia chiamare) non deve per forza ricorrere alle droghe. Le porte della percezione di cui parla Huxley possono essere abbattute raccogliendosi in meditazione.
Al di là di questo, rimane il fatto che trovo buffo che una società completamente desacralizzata, che riconosce volentieri la superiorità della Scienza, permetta l’uso “religioso” della marijuana. Non si crede più nel sacro, ma nella sacralità della droga.
Io lo trovo quantomeno buffo. E un tantino ridicolo.