A volte nelle città, storditi dai quotidiani impicci, dimentichiamo di abitare le oasi verdi che le attraversano. Offrono stupori e ripari nel respiro della natura.

Villa Ada, a Roma, è una di queste. Ne apprezzo soprattutto le zone selvagge, quelle più pudiche, sottratte alle invasioni di biciclette, scarpe in corsa, cani da passeggio. Sono zone nascoste ma palpitanti, e offrono sinceri scorci di virginale bellezza, una pausa che dura uno spazio troppo breve ma che ha un sapore buono, buonissimo. Una realtà forse illusoria perché circondata dalle aggressioni metropolitane, eppure così vibrante, magica, piena del mormorio del vento e delle foglie che raccontano di arcane faccende.

Com’è bello passeggiare nel suo cuore ardente, lontano dai laghetti e dalle stradine ordinate, fatte a misura d’uomo. La misura non dev’essere dell’uomo ma della natura.  Altrimenti l’artificio smonta e cancella l’incanto di un caos ordinato in cui ogni apparente groviglio segue un disegno preciso.

Le distese di erba umida, il sapore dell’ombra nella quale crescono i muschi soavi, diventano luoghi che allargano l’anima.

Ne abbiamo così bisogno.

Mi fermo a respirare, per riempire i polmoni di buona aria e buoni pensieri.

L’altro giorno, sempre a villa Ada, ho visto nei disegni fiamminghi del tramonto un passaggio nascosto. Ho continuato a camminare sull’erba, ma quando mi sono voltata indietro era scomparso, ingoiato dal primo morso della notte. Rimane la sensazione di un mistero promesso.