Signor del campo, d’ogni parte intanto / agitava i destrieri il grande Ettorre, / di bel crine superbi, e rotar bieco / le luci si vedea, come il Gorgone, / o come Marte che nel sangue esulta.”

(Iliade, Canto VIII°).

Nessuno di noi vorrebbe essere mai Medusa. Simbolo del mostruoso, dell’infero, di ciò che, abietto, ci ritrae, come lumachine nel guscio, non appena osiamo guardare i nostri mostri interiori. Ma non si possono incrociare solo Venere e Apollo, Diana e Chirone. Nei nostri archetipi interiori vive anche lei, vive Medusa. E se per caso la incrociamo, se per ventura ci imbattiamo nel suo sguardo furioso che tutto trasforma in pietra, allora useremo lo scudo. Ma non possiamo evitarla.

Ho sempre temuto, da bambina, questa figura così raccapricciante. Mi spaventava, esattamente come faceva la strega-befana che stava nel comodino della stanza di mamma e papà. Ricordo ancora quando, avrò avuto sei anni, piombai in quella camera inseguita dalla mia sorellina, nello schiamazzo disordinato dei giochi infantili. Fu allora che vidi il ghigno della strega per la prima volta. Guardava me, proprio me. Cacciai un urlo furioso e corsi via, con il cuore che schizzava oltre la testa. Da allora ho sempre cercato di evitare il suo sguardo, vagando con occhi obliqui in quella stanza non più rassicurante.

In fondo, anche quella strega cattiva era una variante di lei, di Medusa.

Eppure, eppure dovremmo accettare anche questo, se davvero vogliamo conoscerci oltre la superficie tranquilla del lago sui cui galleggiamo ogni giorno, quello che mostriamo agli altri. Ma, nelle nostre grotte, anche noi abbiamo capelli di serpente, e uno sguardo che desidera trasformare in pietra la vita.

Solo, non vogliamo vederlo. Né dentro né fuori.

Quando, anni fa, incontrai la mia Gorgone che comparve una sera, a una festa, fissandomi per trasformarmi in pietra, non feci in tempo a usare lo scudo. E in effetti, qualcosa dentro di me si cristallizzò, il cuore pulsante divenne duro, immobile, pietrificato, e la traccia di quella memoria si fissò nel tempo, sfidando il suo avanzare, resistendogli come una sfinge che si prende gioco della sabbia misera che si avvicenda davanti al suo eterno sguardo. 

Ma adesso so, so che ognuno di noi prima o poi la incontrerà. E questo incontro risveglierà la Medusa che vive dentro di noi.

Può accadere anche molto avanti, nella vita, quando abbiamo trasformato le nostre giornate in valvole di sicurezza, blindando paure remote e scricchiolii della coscienza.

E se non avremo preparato lo scudo (che serve ad affrontare l’incontro, non a evitarlo) allora sarà molto difficile non farsi travolgere.

Medusa, la strega cattiva, il femminino distruttivo fanno parte della Grande Ruota che anima il mondo.

Non possiamo tirarci indietro.

Quando la incontrai, lei mi vinse. Ma poi, piano piano, cominciai a capire che per tornare dalla pietra alla vita dovevo accettarla, riconoscerla dentro di me.

Ancora oggi, non è sempre facile.

Come non è facile usare bene l’energia di Marte, il guerriero che grida sempre vendetta, che si nutre di polvere e sangue.

Tuttavia ci sono anche loro, sono "forme dell’anima", per dirla con Campbell.

Ognuno ha la sua Gorgone da affrontare, e il suo Marte da gestire.

Se potessi ancora fuggire in un’altra stanza, come quando ero bambina, forse, in un impeto di vigliaccheria, lo farei. Invece provo, mio malgrado, ad avanzare verso quello sguardo utilizzando lo scudo. E’ buio, in quei momenti. Fa freddo. Ho paura. Ma faccio un altro piccolo passo. Né avanti né indietro. Un passo. Un passo e basta.