Visita anche: Editoria e Scrittura | La stanza di Virginia | Silmarillon | Stylos | La mia Istanbul
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A me non piacciono le certezze. Piacciono i dubbi.
Me ne convinco ogni giorno di più. Il dubbio ha molti effetti collaterali. Ti toglie certezze. Ti fa arrancare, a volte. Ti sfinisce. E ti ferisce.
Ma è un alleato prezioso.
Penso all'immenso bisogno di certezze che tutti abbiamo. E così mettiamo le cornici alle cose, le incaselliamo, le nominiamo. Con i nostri esorcismi, gli incantesimi, usiamo parole e cose per allontanarci dalla pericolosa zona "grigia", quel confine- non confine tra il bianco e il nero. Quello pericoloso. Quello che a volte ci toglie il fiato. Che distrugge i castelli mentali che abbiamo costruito. E che smantella le idee, i giudizi. Che toglie contorni alle nostre belle caselline, ordinate e pettinate come certi villini a schiera.
Il dubbio che arruffa ogni cosa, mette disordine, sposta i concetti, li mescola, li fa rimbalzare all'orizzonte.
E a volte scompaiono perfino, i concetti. Se ne vanno oltre l'orizzonte.
Il dubbio è come un "big bang", un'esplosione. Ma crea universi.
Certo, a noi piace più il praticello all'inglese, con l'erba tagliata tutte le mattine.
Il dubbio invece somiglia più a una zona selvaggia, aspra, remota. Coperta di muschi e licheni, abbondante di rovi. Disordinata.
Ecco, a me piace più questo paesaggio. Specie al mattino, quando le cose ancora non si sono vestite.
Pedalare, il trucco è qui. Quando siamo bambini, i nostri genitori ci insegnano ad andare in bicicletta. La sostengono mentre, incerti e maldestri, tentiamo di stare in equilibrio da soli. Ma poi mollano la presa. E noi…andiamo. La vita è così: continuare quella pedalata, cercando di stare in piedi da soli.
Qualche giorno con i miei nipoti mi fa pensare ai giardini segreti delle nostre infanzie.
Ognuno di noi ha il suo, e ci torna, magari in punta di piedi, di notte, nei sogni. O magari mentre insegue il profilo di una collina, o scivola su una goccia di pioggia che batte sul vetro.
Basta poco, davvero poco, per riaprire quei giardini.
Sono ancora lì, e ci aspettano con i loro incantesimi mai sciolti.
Sono popolati di streghe e folletti, di ombre e di nuvole, di tremori e passioni.
A me piace tornarci.
Mi piace anche ritrovare quelle stesse, antiche paure, quelle che stanno accanto alle gioie, alle scoperte della fantasia, alle creazioni di quei mondi incantati che il soffio di un bimbo fa galleggiare sulla testa del mondo.
Il sorriso di un ragazzino ti contagia con il suo eco profondo, ti riporta indietro, in quel tempo-non tempo, quando "non facevamo facce da fotografo", come dicono quei bellissimi versi del film di Wenders.
Tempo di verità, prima che le maschere siano.
Tempo di magie, prima che il tempo degli uomini arrivi.
Tempo di pelle, e non di testa.
Tempo di cuore.