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La mia Istanbul

Viaggio di una donna occidentale attraverso la Porta d'Oriente

 

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La gattitudine è uno stato dell’anima, oserei dire. Non c’è nulla di più bello di quei momenti pacioccosi, negligenti, beati, che si passano insieme ai gatti. Momenti che ripagano della fatica di vivere, sul serio.

Solo chi vive le gattitudini può capire questo stato particolare che è quasi come un satori.

Anzi, un "gattori".

Dei miei due gatti, uno è filosofo, l’altra una disadattata arruffona e un po’ psicopatica, adorabilmente psicopatica.

Uno è un po’ orso, l’altra è un felino allo stato brado.

Lui "pensa", lei si struscia maliziosa.

Lui si fa appendere a testa in giù, lei rizza il pelo come provi a prenderla in braccio, fissandoti con i suoi occhi spiritati.

Lui è lago tranquillo, lei è onda di mare in tempesta.

Lui è brezza, lei bufera.

Lui somiglia a una sonata di Mozart, lei a un concerto dei Led Zeppelin.

Lui è "nanna", lei "insonnia".

Tutti e due, a forza di opposti, finiscono per somigliarsi.

Con loro vivo le mie gattitudini.

Le più belle? Nelle giornate come questa, quando fuori piove e mi rannicchio sul divano, un libro e due gatti.

Momenti di essere, momenti di assenze e presenze.

Gattitudini, appunto.

 

 

 

Per quanto riguarda la vicenda Marrazzo, a parte la triste evidenza dei fatti mi spiace per tutto questo infierire gratuito su un uomo già a pezzi. Ha sbagliato, sta pagando. E basta, no? Sono stanca di questa politica urlata, a destra e sinistra, basata su ciarle, colpi bassi, gracchiare mediatico, arene. E basata soprattutto sull’ assenza di nobile dignità. Lontano più che mai, Platone con la sua Repubblica…

 

Tutti all’ovile. Eccoci qua, belli impacchettati per l’anno. In fondo Settembre è il vero "Capodanno" per molti, il tempo dei nuovi inizi. Inizi di dieta, palestra, corsi, progetti professionali…

Li decidiamo immersi nelle nostre città, colorate dagli ultimi bagliori della tintarella, fra un clacson e uno svogliato rientro.

Tornare in prigione è duro. Forse è per questo che ci affanniamo nei citati "nuovi inizi". Per dimenticare la cattività dopo l’assaggio libero della vacanze.

I primi giorni ci aggiriamo inquieti, come anime sparpagliate, per riannodare i fili della routine.

C’è invece chi, tutto contento, si reinserisce nella jungla cittadina: durante le feste ha sentito la mancanza della frenesia lavorativa.

Non è il mio caso.

Io adoro il vuoto delle giornate, da riempire con il riposo, i libri, le passeggiate.

Buon rientro a tutti.

 

 

Ieri la lezione di yoga era basata sulla percezione dei piedi. Entusiasmante, Non facciamo mai abbastanza caso a queste piccole ma significative terminazioni che ci permettono di stare eretti, camminare…

Piccoli, grandi piedi. Sono le radici del nostro albero. A volte li strizziamo in scarpe scomode, li obblighiamo a soffocare ogni inverno finché, d’estate, tornano liberi e leggeri a volare sui sandali.

Vero oggetto di desiderio sessuale per alcuni, il piede nasconde molti segreti sulla persona. Un po’ come la mano. Ci racconta "chi è". Ditoni lunghi, armonici, affusolati o cicciotti. Piedi leggeri o pesanti, pudici o invadenti.

Averli belli è certo un lusso: nelle serate estive si decorano di lacci e pietruzze che ne esaltano le armonie.

Altri piedi, invece, sembrano davvero zampe…

Anni fa mi ruppi il mignolo del piede destro. Mi ricordo lo stupore nel notare come quella piccola striscia di pelle e carne all’estremità della mia gamba fosse necessaria nel sostenermi.Quel minuscolo mignolino aveva la forza di una montagna. Un mese stesa sul letto o a zoppicare con le stampelle, senza di lui.

Ieri, durante la lezione, abbiamo praticato un massaggio ai piedi cercandone l’ascolto. Molto interessante. Quante zone doloranti, altre piacevoli di toccare (come accade durante una seduta di riflessologia plantare), altre "dimenticate".

Poi, durante le posizioni, abbiamo cercato di mantenere la consapevolezza sul piede, invece di stare solitamente sulla testa, come accade un po’ a tutti noi.

Scendere in basso è davvero interessante.

E poi ci avvicina alla terra, quella terra da cui prendiamo energia (ricordo un tizio che parlava di macrobiotica e suggeriva di non portare scarpe di gomma in quanto isolanti, e senza scivolare nel new age alcune teorie sono davvero stimolanti).

Com’è bello, d’estate, camminare scalzi sulla riva. Di fatto, io odio ciabatte e affini, quindi anche a casa sto sempre scalza, complice il parquet. Perfino in terrazzo vado scalza (rientrando con i piedi…neri, augh).

Sì, la scarpa ci sottrae davvero qualcosa.

Tanti anni fa, un pomeriggio, ricordo che me le tolsi provando a camminare scalza nel centro storico di Senigallia, dove vivevo. Non facile sui sanpietrini. E un po’ "zozzo", certo.

Ma i piedi registravano tutto, erano attenti, presenti.

Ovviamente l’ideale è farlo sull’erba o sulla sabbia.

Io, quando posso, lo faccio.

E i miei piedini mi ringraziano.

 

 

 

Ho avuto la fortuna, quest’estate, di guardare uno di quei rari cieli che si accendono in una notte priva di luci artificiali.

Quei cieli che all’improvviso illuminano la notte, la trasformano in una festa di luci brillanti circondate da una scia bianca, che le avvolge come un mantello. La Via Lattea. Quasi impossibile vederla, di notte, in città. Le stelle si occultano quando le luci artificiali manifestano la loro presenza. Quasi a sussurrare che il segreto del cielo si coglie solo nel mistero della natura, in luoghi lontani dalle metropoli e dalle campagne abitate.

Mi ha ricordato un altro cielo, in un altro luogo, anni fa.

Come allora, anche stavolta mi sono sentita in compagnia di ali celesti, di quelle voci degli dèi che raccontano, lassù, la strada delle stelle. Miti, leggende e simboli per infilare un briciolo di consapevolezza in quell’abisso di conoscenza.

Mi sono persa un poco fra i sentieri stellati, dimenticandomi perfino di cercare le stelle cadenti (che proprio per questo motivo mi hanno poi elargito generose donazioni di luci guizzanti), smarrita in quel cosmo così grande, così palpitante, così sacro. Penso a una poesia di Borges, che parla della Luna dicendo che le antiche genti l’hanno colmata di antico pianto.

Così come, aggiungo io, hanno colmato quel cielo di antico stupore.

E io, tra poco, sarò di nuovo nella miseria di notti metropolitane che hanno spazzato via quel manto stellato.

Tuttavia l’antico stupore sta sempre lì, a portata di cuore e di occhi. Ma bisogna andarlo a cercare…