Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri.
Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita.
Sono una piccola ape furibonda.
Chi decide cosa è normale? La normalità è un’invenzione di chi è privo di fantasia.
Illumino spesso gli altri ma io rimango sempre al buio.
La pazzia mi visita almeno due volte al giorno.
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
 
( Alda Merini)

 

Il piacere che lo scrittore prova

è il piacere dei saggi.

Dal non silenzio nasce l’essere;

dal silenzio,

lo scrittore genera una canzone.

In un metro di seta vi è lo spazio infinito;

le parole sono un diluvio

da un piccolo angolo del cuore.

La rete dele immagini, lanciata, si allarga

sempre di più; il pensiero perlustra

sempre più a fondo.

Lo scrittore offre

la fragranza di fiori freschi,

un’abbondanza di germogli che sboccia.

Venti vivaci sollevano le metafore;

nuvole si alzano da una foresta di pennelli.

(Lu Ji, Soddisfazione)

 

 

Il poeta-soldato Lu-Ji, condottiero di eserciti ma amante delle parole, allievo di Confucio, regala versi bellissimi nel suo "L’arte della scrittura".

Un ponte verso la saggezza orientale, una strada piena di lumini accesi a segnalare il cammino di un’anima vibrante.

L’enigma dell’universo, la multiforme scoperta delle sensazioni più sottili, la soglia fra parola e respiro diventano ricerca viva, fonte di continua indagine.

Stamani mi sono svegliata con la voglia di attingere a uno di questi versi.

 

Ancora mettiamo entrambi le mani sul fuoco:

tu per il vino del lungo fermento notturno

io per la mattinale acqua sorgiva, che non conosce i torchi.

Il mantice attende il maestro, in cui confidiamo.

Non appena l’ansia lo scalda, il soffiatore giunge.

Va’ via prima di giorno, arriva prima del tuo richiamo:

è antico, come la penombra sopra le nostre ciglia rade.

Di nuovo egli fonde il piombo nella caldaia di lagrime:

per una coppa a te – occorre solenizzare il tempo perduto -

a me per il coccio pieno di fumo – che sarà versato nel fuoco.

Mi scontro così con te, facendo tintinnare le ombre.

Scoperto è chi esita, adesso,

chi ha scordato la formula magica.

Tu non puoi e non vuoi conoscerla,

bevi sfiorando l’orlo, dove è fresco:

come un tempo, tu bevi e resti sobrio,

le ciglia ti crescono ancora, tu ancora ti lasci guardare!

Io con amore all’attimo protesa sono già, invece:

il coccio mi cade nel fuoco, piombo mi ridiventa

qual era. E dietro al proiettile sto,

monocola, risoluta, defilata,

e incontro al mattino lo invio.

(Ingeborg Bachmann, Poesie)

 

Poco da aggiungere, quando la poesia conosce gli arcani di pensieri e parole, quando traccia soavi combinazioni alchemiche in cui l’anima danza.

La parola resta sospesa nello stupore, dondola sul tempo avanzando verso altri lidi, notturni, liquefatti, misteriosi come questa penombra stessa.

Ecco, in questa domenica uggiosa di maggio, questi versi sono semplicemente perfetti.

 

 

Quando pronuncio la parola Futuro,

la prima sillaba già va nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,

lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,

creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.

(Wislawa Szymborska, Le tre parole più strane).

 

Io penso sempre che nulla accada a caso. Faccio parte di quelle persone che credono in un disegno che ci collega, un disegno nel quale ci muoviamo, ignari dei fili che noi stessi tessiamo.

Una rete cosmica, in cui oguno si muove spostando, con la sua azione, altri destini. Collegandosi e scollegandosi ad altri disegni.

"Sono una matita nelle mani di Dio", diceva Teresa di Calcutta.

Io non ho l’ho mai amata in modo particolare, Madre Teresa, ma quando ascoltai questa frase rimasi colpita dalla convinzione e dal senso di resa che trasferiva.

Sì, siamo matite e siamo colori. Pennelli. Carboncini.  Schemi prospettici. Figure geometriche. Schizzi. Figure astratte. Squarci di terre. Pezzi di cielo. Il cielo intero.

Siamo tasselli di un magnifico puzzle.

Ne ignoriamo il senso più profondo anche se a volte, per un istante, ci semnra di capire qualcosa.

Qualche giorno fa un nuovo amico mi ha regalato un libro. Attimo, di Wislawa Szymborska.

La mia poetessa preferita. La donna che con il suo libro "Gente sul ponte" veglia sulle mie giornate. Ho un rapporto particolare, con quella raccolta di poesie. Devo averla sempre a portata di mano. Se non la trovo, magari dispersa nel suk della mia libreria (ma, diciamo la verità, anche tutto il resto della casa somiglia a un bazar labirintico), mi sento strana, a disagio. Come se mancasse una parte di me.

Ho postato sue poesie, in passato, nel blog. Qui e qui.

Vi consiglio di avvicinarla, di conoscerla, vi consiglio di diventare suoi amici e abbandonarvi, con  lei, a chiacchiere confidenziali, con quel piacere intimo riservato a pochi.

Ecco, il libro mi è stato regalato da una persona che mi conosceva a malapena, come possono conoscersi due rondini che si incrociano nel volo libero di primavera.

Ma era perfetto. Semplicemente.

Un nuovo volume della mia poetessa.

Nulla accade a caso. Il mondo è fatto di disegni. E di specchi.

Ho visto un pezzettino del disegno colorarsi e brillare.

 

Fermate tutti gli orologi
isolate il telefono
fate tacere il cane con un osso succulento.
Chiudete i pianoforti
e tra un rullio smorzato,
portate fuori il feretro.
Si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani, lamentosi, lassù
e scrivano sul cielo il messaggio:

Lui è morto.

Allacciate nastri di crespo
al collo bianco dei piccioni.
I vigili indossino lunghi guanti neri.

Lui era il mio nord, il mio sud,
il mio oriente e il mio occidente,
la mia settimana di lavoro
e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte,
la mia lingua, il mio canto.

Pensavo che l’amore fosse eterno
e avevo torto.

Non servono più le stelle,
spegnetele anche tutte,
imballate la luna,
smontate pure il sole,
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco
perché ormai più nulla può giovare.

(W.H. Auden)

 

Non so perché il pomeriggio tiepido di una tardiva primavera mi ha fatto pensare a questi versi.

Forse perché li ho sempre amati. Forse perché W.H. Auden è un poeta che mi lascia sempre la pelle scoperta. Sì, scoperta.

Questo canto estremo in cui scivola l’addio stritola l’anima che cerca il suo smarrito amore.

W.H.Auden ci regala una poesia meravigliosa, fatta di parole perfette, semplicemente.

Dopo tanti anni, mi commuove ancora.