allam

 

 

Un esempio di pessimo giornalismo firmato da Magdi Cristiano Allam.

Un titolo ironico legato a una tragedia è" qualcosa che rispecchia la profonda ignoranza, la superficialità, il consumismo mediatico dei nostri tempi. I giochi di parole sono i benvenuti, nei titoli. ma non in casi delicati e drammatici come questo.

Del resto, che aspettarsi da certi giornali e giornalisti?

Che rovinano il lavoro di altri che, in silenzio, senza meno clamore, cercano di raccontare il mondo è la società.

Lo spazio già esiguo si riduce ancora per chi ha scelto un modo diverso di fare giornalismo.

La fotografia scelta per il libro inchiesta (inchiesta? siamo sicuri?)  rivela un gusto pessimo quanto il titolo del libro. Mi mancano i giornalisti veri, i libri seri, i giornali che scavano nella realtà senza cercare il consenso circense ottenuto con il ricorso a strategie da baraccone.

Purtroppo, oggi, il declino del buon giornalismo è un dato di fatto.

 

terzani

 

Lo so anche io, che la penna di Oriana Fallaci, narrativamente, ha un talento che Terzani non possedeva nella stessa misura. Ma mentre si rileggono, oggi, gli scritti di Oriana, a me piace invece rileggere, la sera, le Lettere contro la guerra, perché trovo tracce di un pensiero che continuo ad amare e che cerca di vedere anche al di là. Detesto il "terzanesimo", ma reputo che Terzani abbia fatto della sua vita e del suo pensiero un bel cammino.

 

Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l'etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. Anche a me capita che, come ora, ogni volta che ci passo, questa città mi fa male e mi intristisce. Tutto è cambiato, tutto è involgarito. Ma la colpa non è dell'Islam o degli immigrati che vi si sono installati. Non sono loro che hanno fatto di Firenze una città bottegaia, prostituta al turismo! E' successo dappertutto. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perchè i musulmani si atteando in piazza del uomo, perché i filippini si riuniscono il giovedì in piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno alla stazione. E' così perché anche Firene si è "globalizzata", perché non ha resistito all'assalto di quella forza che, fino a ieri, parea irresistibile: la forza del mercato.

Nel giro di due anni da una bella strada del centro, via Tornabuoni, in cui fin da ragazzo mi piaceva andare a spasso, sono scomparsi una libreria storica, un veccio bar, una tradizionalissima farmacia e un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda.

Credimi, anche io non mi ci ritrovo più.

Per questo sto anchìio ritirato, in una sorta di baita nell'Himalayua indiana dinanze alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì amestose e immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermamenti come tutto nell'universo.

La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornare a prendere lezione.

Tornaci anche tu.

Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più.

Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia.

Ti saluto, oriana, e ti auguro di tutto cuore di trovare la pace. perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte.

(Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra)

 

 

 

La foto che da ieri scatena molte polemiche mediatiche immortala Miuccia Prada che si serve di un uomo-gradino per salire sul suo aereo privato.

Feltri, che la pubblica in prima pagina su Libero (giornale che a me, personalmente, fa venire l’orticaria) lancia il sasso nello stagno ma non ritrae la mano, criticando i "nuovi negrieri della sinistra", cioè tutti quei radical chic che predicano bene e razzolano male.

Segue subito la smentita dei diretti interessati, che replicano indicando uno scherzo fra vecchi amici.

Ecco partire subito il valzer di chi ci crede e chi no.

Radio, televisione e stampa ci intrattengono con l’amletico dubbio mentre il Cavaliere inizia a fare i conti con la Lega nella composizione di un governo che si annuncia afflitto dai parlamentari padani e le loro aumentate poltrone.

Nello stesso momento, l’America ribadisce la volontà di proseguire con la pena di morte respingendo la richiesta di due condannati che chiedevano una dose letale di barbiturici al posto della famosa iniezione (che comporta tre iniezioni, in realtà, di cui una letale che provoca una paralisi di polmoni e diaframma).

Che dire? Mi sembra che abbiamo faccende ben più gravi di affrontare del fare le pulci alla foto in questione, che pure suscita perplessità.

Ognuno è "libero" di dire la sua, comunque, su una foto che, per quanto scherzosa, agita alcuni fantasmi.

Che però non meritano decisamente una foto in prima pagina, a tutto campo. Ma Libero è libero, appunto.

E se i fantasmi, dicevo, dei negrieri ricchi e di sinistra superano per lui alcune questioni forse più drammatiche, ha fatto bene. Almeno non ci sono più i comunisti che hanno ucciso i bambini (e sono scomparsi davvero, stavolta. Perfino dal Parlamento). Al loro posto, la sinistra ricca che predica bene e razzola male (che, diciamo la verità, esiste, esiste eccome, ma ognuno ha i suoi scheletri e le sue contraddizioni, a destra e a manca, senza sconti per ambo le parti).

Forse la signora Prada ha scherzato. Forse no. Uno scherzo antipatico, certo. E decisamente funzionale (un "ti faccio da tappetino" egregiamente eseguito).

Ma chissenefrega.

Ognuno mediti sulla foto e trovi la sua interpretazione.

Con una domanda: ma sulle prime pagine dei quotidiani non abbiamo di meglio da fare?

Forse il modello di Novella 2000 è più affascinante.

Quanto alla signora Prada…forse stasera, sul treno che mi riporta a Roma, chiederò a una mia amica di farmi da scalino.

fallaci

Avevo scritto queste righe nel 2006. E, ancora oggi, mi ci ritrovo. Anche se sono cresciuta e, adesso, temo ancora di più le radicalizzazioni di ogni pensiero, da ogni provenienza. Sarà perchè ho cambiato pensiero molte volte, e paradossalmente sono rimasta sempre fedele a me stessa. Perchè si cambia, se si cresce, se si vive, e quindi anche un pensiero deve per forza mutare, o quantomeno aprirsi al benvenuto rovello del dubbio.

2006: Una donna

Da domani sentiremo molto parlare, e scrivere, su Oriana Fallaci.

Benissimo. Giusto. Se ne va una voce importante che, nel bene e nel male, ha segnato il pensiero occidentale negli ultimi cinque  anni, dopo l’11 settembre.

Oriana ci aveva abituato alle sue invettive, la sua vena polemica già negli anni giovanili emergeva con prepotenza, si infilava in quel mondo maschile che lei, sigaretta alla borsa e zaino in spalla, sfidava nei suoi reportage, nelle sue incursioni nelle zone di guerra.

Ci ha regalato pezzi di storia del Vietnam, quei pezzi "veri" dei reporter che, lontani dalle comodità del computer, con il taccuino giravano,  indagavano, frugavano nelle vite delle persone per catturarne pezzetti di una realtà da ricomporre (la Fallaci in un’intervista disse che il giornalista vive la storia in diretta, ed è lui stesso a scriverla in tempo reale).

Ci ha regalato un libro indimenticabile, Oriana, forse l’unico vero libro pieno d’amore che abbia mai scritto. Un uomo rimane la testimonianza più alta non solo della sua scrittura ma anche della sua capacità di vibrare nelle sfumature dei sentimenti, braccandoli senza tregua come un lupo con un coniglio ferito.

Poi però negli ultimi anni il tumore aveva forse scavato nella rabbia. Rabbia contro il mondo, contro il sistema di potere, contro ogni manifestazione di barbarie che, a suo avviso, resisteva in oriente al flusso civile della occidentalizzazione.

"Ho visto Bin Laden ed era il demonio".

Affermazioni estremiste, radicali, senza possibilità di appello. Senza punto interrogativo, senza aggancio per la discussione.

Sicuramente nutrite da un paese in cui la bandiera nazionale sventola in ogni casa, dal vivere nell’anima di quel continente che divide il mondo, oggi più di ieri.

Stasera a cena un amico mi parlava del suo coraggio nel dire cose scomode, e nel portarle avanti fino alla fine.

Pur non condividendole, non in pieno almeno, ho dovuto ammettere che aveva ragione.

Sicuramente è stata una donna "con le palle". Troppe, forse. Però non scordiamoci che a volte può esserci un certo compiacimento nell’essere scomodi.

Oriana ci ha lasciato libri preziosi, e una critica feroce sull’Islam e sulle dinamiche internazionali.

Peccato che, da domani, si scatenerà l’epitaffio post-mortem, pieno di enfasi, di mitizzazioni. Come sempre, la morte ci sottrae dai perimetri angusti della carne e ci trasporta nell’Olimpo degli dèi.

Da lassù, da quel mondo impalpabile in cui la carne si è fatta soffio, brezza notturna, silenzio, i resti mortali vengono lasciati agli umani perché li addobbino con le loro parole.

E così il morto diventa sempre un po’ "speciale". Soprattutto se è un morto famoso, un morto che ha contribuito a scrivere la Storia.

Ma di lei mi piace pensare che non era solo l’Oriana che verrà celebrata, discussa, che di nuovo scatenerà fazioni e reazioni.

Mi piace pensare che era Una donna. Una donna.

 

 

 

 

Il mondo sta cambiando molto in fretta, Chi è grande non sconfiggerà più chi è piccolo, ma chi è veloce batterà quelli che sono lenti

Rupert Murdoch

 

 

 

Dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà. Il mondo sta cambiando, e il giornalismo tradizionale è in crisi. Non basta fare i gadget (l’edicola è ormai un bazar dove trovi di tutto, dallo scialle al rossetto, dal libro al dvd): i quotidiani sono attaccati al respiratore e se si stacca quel respiratore (i gadget, appunto) si collassa imemdiatamente. Decresce la pubblicità sulla carta stampata a favore della migrazione su internet, diminuisce il numero dei redattori (tagli drastici in Europa e in America, negli ultimi anni), aumenta la free press.

Vittorio Sabadin ha scritto un libro prezioso, L’ultima copia del New York Times, in cui racconta i cambiamenti drastici che la stampa sta attraversando. E racconta le crisi, le resistenze.

Ma non si può fermare il cambiamento. Dunque è meglio adeguarsi.

Ho vissuto per quindici anni in mezzo alle riviste cartacee. Le ho costruite, insieme ad altri, numero su numero, timone su timone, pezzo su pezzo. Fino a pochissimi anni fa non riuscivo neanche a concepire l’idea che questo mezzo non fosse l’unica soluzione possibile per il giornalismo scritto. E invece oggi dirigo una rivista online, mi diverto a progettare inserti multimediali e soprattutto cerco di integrare gli aspetti tradizionali con quelli più moderni, attuali.

Ho dovuto vincere le mie resistenze. Ma l’ho fatto. E ho capito che la carta stampata non sarà il futuro del giornalismo. Non sarà l’unico futuro, almeno.

Certo, è bellissimo trovare conforto nella solidità della carta, nel suo odore, in quelle distese di parole che si possono toccare, sniffare, accartocciare. Eppure è anche necessario capire che il web potrà affiancargli un giornalismo efficace, magari diverso, sì, ma efficace.

Specie se i quotidiani tradizionali continueranno a chiudere gli occhi, a voler proseguire una linea di fatto già sconfitta.

Aprire il Corriere della Sera in metropolitana è come stendere un lenzuolo matrimoniale sul letto di una formica.

Gli articoli culturali di Repubblica a volte fanno svenire anche il più erudito dei lettori.

E poi la lontananza dalla gente. Tanta. Troppa. Mentre il giornalismo dovrebbe per sua natura essere vicino alle storie fatte di carne, di sangue, di sudore.

Invece continua a ossequiare i padroni, cioè i gruppi politici ed economici che influenzano le linee editoriali con le loro brave pressioni.

Ed ecco che nasce il citizen journalism, ecco che i blogger americani  battono i giornalisti nel dare la notizia in tempo reale o nello scovare dettagli sconosciuti (spesso scomodi).

Ci eravamo innamorati, tutti, di tutti gli uomini del Presidente. Ma dobbiamo anche vedere cosa succede davvero, oggi. Dobbiamo vedere la debolezza delle redazioni, i bavagli e le parole schierate.

Forse internet non è il nemico ma è invece carburante per un risveglio, una reazione.

Di certo, così non si va avanti. Un po’ di pepe nel deretano certamente non guasta.

Non bastano, però, le letteronze di Maria Latella che risponde ai lettori nella sua mezza paginetta, quando poi le cronache locali romane sono infestate da settagli su Provincie, regioni, imprenditorie e costruzioni. E la gente? Che succede davvero in città, oltre alle solite, drammatiche notizie di cronaca nera?

Come respira la città? (O come soffoca, dati i  livelli di inquinamento). Che si dice? Come si conciliano tutti i colori del mondo in una metropoli che continua a essere così provinciale?

Quanti articoli si potrebbero fare. Ma non vanno bene. Non fanno gli interessi dei politici e degli imprenditori. Quelli della gente, oggi, sono minoritari.

Il giornale è un luogo di potere i cui spazi sono contesi come jene con una carcassa.

Dio mio, e se la carcassa fosse proprio quella del giornalismo?

O meglio, di un certo tipo di giornalismo?

Perché comunque la voglia di raccontare, l’urgenza della notizia, la voglia di dire e di scrivere cosa succede non moriranno. Ma cambieranno forma, probabilmente. Questo sì. E per fortuna