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Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.
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La mia Istanbul

Viaggio di una donna occidentale attraverso la Porta d'Oriente

 

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FORZA GNOCCA?

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Pubblicato: 07 Ottobre 2011

“Forza gnocca”. Grazie, Berlusconi, a nome di tutte le donne italiane. E ti ringrazio anche per essere stato  il “Muso” ispiratore, mio e tuo malgrado, della nascita della Stanza di Virginia dopo l’ennesimo annus horribilis zeppo di Bunga Bunga che mi hai fatto passare. Sai, in Italia non ci sono solo gnocchette e tortelline, ci sono anche un sacco di donne che pensano, raccontano, cercano e – credimi – osano perfino sognare ancora. Difficile, nel Paese che hai fatto a brandelli. Per noi donne, poi, è stato particolarmente faticoso sopportare ogni giorno il tuo maschilismo sempre più gretto (scopare le donne non vuol dire amare le donne, te lo ricordo bene), il tuo fare da vitellone sempre a caccia di sederi e tette da comprare, le tue barzellettine da baretto di quartiere. Sì, certo, mi fai anche pena, costretto a un sogno prezzolato che ti costa case, denaro e… avvocati. Perché le donne le devi pagare. Mi fanno pena anche loro, un po’. E mi fanno rabbia, tanta rabbia, per l’immagine del femminile che diffondono e mantengono viva. Ma, del resto, fanno il mestiere più antico del mondo. E tuttavia, tuttavia queste moderne cortigiane sono ancora più squallide, perché in questo mondo sempre più futile  anche i motivi della “prostituzione” (chiamiamola, per favore, con il suo nome) sono spesso sempre più futili. Ci si vende per andare in tv, per fare una particina interdentale in uno di quei  filmetti stupidi che rovinano il nostro bel cinema, ci si immola a un vecchio fatiscente come te per un gioiello di Chanel e per una villa. Ma, tu, caro Presidente, hai contribuito, in questi pietosi diciassette anni, a svilirci perchè se fra le lenzuola private puoi fare come ti pare, come Premier sei chiamato a rappresentarci attraverso un’immagine rispettabile. Non mi dilungo, qui, a spiegaredi nuovo  le ragioni che altrove i miei colleghi giornalisti hanno spiegato così bene. Ti dico solo che, come donna, mi sento profondamente offesa.
Non siamo tutte come le tue Ruby. Te lo ripeto, in Italia ci sono donne che sanno cosa siano la dignità, il rispetto, il coraggio. Donne che danno ancora peso e valore a termini scippati del loro significato. Donne che tirano avanti fra casa e lavoro, che allevano figli mentre lavorano tutti i santi, santissimi giorni. Donne che leggono, scrivono, vanno al cinema (escludi, per piacere, i fratelli Vanzina, e dammi retta: guardano altro). Che cercano di dare senso e significato ai sentimenti e alle relazioni. Donne che si impegnano. Che cercano una politica più seria, meno arraffona, schifosa e puerile. Donne a cui la lobotomia del denaro facile non interessa se questo significa vendere il loro corpo al “Potere” (che si sarà mai di potente, poi, nel tuo sederino flaccido e nella tua pancetta scaduta? non è triste, pensare che il Potere sia soltanto Denaro?). Sono meno visibili, forse. Ma non per questo meno numerose e  importanti delle tue Lolitine. Non finiranno a fare le letterine, e neanche le veline. Non avranno una villa all’Olgiata e neppure una pelliccia di Fendi. Ma saranno sempre fiere, orgogliose. Potranno andare a letto solo con chi amano, pensa che bello. E stare bene anche da sole. Senza chiedere a niente e a nessuno. Queste donne, caro Presidente, sono un esercito silenzioso che invece di urlare e apparire cerca di fare, e cerca ogni giorno di essere una prova vivente del fatto che si può essere diverse da quelle macchiette femminili che da anni un certo carnaio mass mediatico ci propina ventiquattro ore su ventiquattro.
Donne umiliate ogni giorno dagli omuncoli come te, che tra una barzelletta e una palpatina si sentono “maschi”. E che invece sono solo ridicoli. Terribilmente ridicoli.

Cambiare?

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Pubblicato: 04 Ottobre 2011

Ogni volta che penso al tema del cambiamento vado un po’ in crisi, lo ammetto. Si può cambiare? Possiamo realmente cambiare noi stessi? E se sì, fino a che punto?
Se guardo indietro, trovo sempre la stessa Francesca con il suo carattere passionale impulsivo, poco incline all’ordine e agli ordini, Eppure, eppure qualcosa è cambiato. E nell’accostarmici incontro la malinconia. Non può non essere così. Con gli anni, la prima cosa che cambia (per fortuna) è il dimagrimento di quel senso di onnipotenza che a vent’anni ci vede sul tetto del mondo. Scesi (o rotolati giù) dal tetto vediamo le cose in modo diverso, siamo più fragili ma sicuramente più veri. Ma ciò che cambia davvero è solo il nostro modo di guardare le cose, ed è già un gran cambiamento! Vedere il vecchio con occhi nuovi: che salto.
E invece, certo, vorremmo cambiare ben altro, dentro e fuori. I nostri vizi, le nostre ombre, le nostre paure… Si possono affrontare meglio, ma non se andranno. Noi, non ce ne andremo. La nostra storia, fisica e psichica, respira con noi, ci accompagna. Liberarsene è impossibile. L’unica cosa possibile è accoglierci, così come siamo, e tentare disperatamente di allargare lo sguardo, cercando di spingere un po’ più in là l’orizzonte.
Il resto, è illusione.
Il tempo e il dolore sono maestri, si dice. Vero: ci insegnano i limiti delle cose, la  relatività di questo mondo.
Capire questo è un bel cambiamento. Non pretendiamo troppo da noi, ma nemmeno poco.

I BLA BLA DELLA TUTTOLOGIA

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Pubblicato: 14 Settembre 2011

Socrate: Io so di non sapere

Non sopporto più la gente che sa. Che sa tutto. Di ogni cosa. Dalla cosmetica alla politica, dall’arte all’entomologia, dal feng shui al Kazakistan.
Basta. Basta, per carità.
Oggi si parla di tutto, con tutti. Ovunque. Certo le nuove tecnologie non ci aiutano, con le chat gli sms gli ogm.
Tante parole, fatte di cosa in realtà? Per conoscere bene qualcosa, qualunque cosa, ci vuole tempo. Ci vuole l’esperienza che si fa sulla pelle, la rende consapevole, insieme alla testa, di qualcosa.
Parlare può essere un’esperienza vuota come uno stomaco dopo il pasto saltato.
ma noi insistiamo. A dire, ovunque.
Ma tutto questo “sapere” fa male. Perché non è sapere. Non è conoscere. E’ intuire vagamente qualcosa, sommersi da informazioni che incrostano i nostri cervelli.
E’ così bello, a volte, non sapere. Solo tacere. E ascoltare. E, magari, sentire davvero qualcosa.

ITALIA ITALIETTA MIA?

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Pubblicato: 01 Agosto 2011

Non mi riconosco più in questa Italia depressa, qualunquista e menefreghista.
Sempre pronta a criticare senza scegliere la difficile arte del "fare".
Governata da ladri e briganti che – toh – ha sempre scelto lei.
Lei, antica signora di eleganti fattezze, oggi stracciona, scalza, spettinata e
stanca.
Questa Italia alla deriva, sbilanciata, solcata da nuovi e vecchi rancori.
Canaglia, furbetta e malandrina.
Serva di Stato e dama di corte privata.
Puttana di strada, a volte.
E, sempre, corridoio di idee che non trovano né porte, né sbocchi.
Italia malata che non muore mai, eternamente appesa a macchine che respirano per lei.
Italia di cafoni e di snob, senza mezze misure.
Di omolgazioni e quotidiane piccinerie.

Di città che si credono villaggi
e villaggi in cui i vicini non riconoscono i vicini
Italia di maleducati e pigri.
Di rassegnati che hanno paura di cambiare

Di vizi, stanchezze e ridicole ostentazioni.

Italia che fatico ad amare
Italia mia?

La stanza di Virginia

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Pubblicato: 16 Luglio 2011

Lo sapeva bene, Virgina Woolf. Conosceva l’importanza di una stanza tutta per sé.
Specialmente per una donna.
È in quella stanza che si scrive, si pensa, si dipinge, si ride, si piange. Ci si stiracchia ben bene nel mattino fresco, lavando l’anima e asciugandola al vento che soffia dalle finestre. Si beve una tazza di tè, poi si riprende a lavorare. Lavorare su cosa? Sul giardino interiore.
E il giardino di una donna è faccenda complessa. Per l’uomo si tratta di aiuole potate, esposte alla giusta inclinazione del sole. Ma per lei è diverso. I suoi giardini sono selvatici, sanno di muschio, di labirinti, di ombra che filtra la luce.
A prima vista sembrerebbe il contrario, eppure non è così. Malgrado secoli di culti solari – e di irregimentazione del “secondo sesso“, come scriveva Simone De Beauvoir –  il femminino è sempre sopravvissuto, potentissimo, nel sottobosco. Inquieto, struggente, ferito da una Luna palpitante che allo stesso tempo è viaggio e zavorra.
Spettinata, a piedi scalzi, la donna del sottosuolo conosce i segreti delle pietre preziose.
Ma per trovarle deve avere una stanza tutta per sé. Dove creare ma anche liberare le ombre, sfogarle, domarle.
Le ferite devono essere suturate affinché la donna trovi la strada per collegare i suoi sotterranei con la superficie solare.
Ci vogliono una stanza, una sedia, un tavolo.
E alcuni libri per incendiarsi davanti alle giuste parole.
E matite per colorare i fogli del passato.
E musica per danzare.
E una torcia per far luce nell’ombra.
In quell’ombra, la penetrazione coraggiosa dei territori sconosciuti, remoti, smette di farla essere clandestina, straniera a sé stessa.
Finalmente si torna a casa. Il sentiero si illumina di piccole luci che brillano nella notte, costeggiano la strada sassosa che riconduce a casa.
Lì, in quella stanza, i misteri del cuore fioriscono.
Sbocciano come candidi fiori inanellati da fumi d’incenso.
Prima, però, ci sono stati un ritrovamento e una sepoltura.
Seppellire i morti, ammainare i lutti non è mai facile. Ma è da lì che si parte.
Non esiste l’altrove senza l’adesso, né il rifugio senza la memoria.
Nella stanza ci si cala dal pozzo o si usa la scala per infilare un dito nel cielo.
Non c’è differenza in quanto non si sale senza prima essere scesi.
La discesa della donna avviene nella sua stanza (che può essere anche all’aperto, senza finestre né porte), così come la risalita con le mani piene di doni preziosi.
Questa donna che ha imparato a usare la stanza non potrà più rimanere imprigionata nelle case degli altri. Saprà sempre orientarsi, anche nello sconforto.
Se la tregua di un temporale traccia un arcobaleno nel cielo, allo stesso modo le mani di chi ha scavato dentro di sé disegneranno bagliori di fuoco che accenderanno ogni stella.
E per ogni stella, sulla terra ci sarà una stanza. Una stanza tutta per lei. 

 (marzo 2006, re-posted)

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