Visita anche: Editoria e Scrittura | La stanza di Virginia | Silmarillon | Stylos | La mia Istanbul
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Sarà che amiamo le cose senza pensare mai fino in fondo ai risvolti meno piacevoli, sarà perchè il fascino irresistibile della carta diventa per noi una malattia, un’ossessione, sin da quando siamo bambini, sarà per la difficoltà di allargare sempre il nostro pensiero. Sarà. Il fatto è, invece, che i libri non fanno solo bene. Fanno anche male. Non a noi, certo. Al pianeta. In fondo, quando leggiamo un giornale, se siamo cittadini coscienziosi buttiamo poi quel giornale nella spazzattura differenziata che, ci auguriamo, viene poi correttamente riciclata,. Ma i libri no. Loro restano lì, imperituri, nelle librerie che passeremo ai nostri figli e nipoti. E, lì, nei nostri scaffali che esibiamo con tanto orgoglio, giacciono intere distese di alberi abbattuti che non saranno più sostituiti.
Certo, direte, ci sono tantissime altre cose che fanno male al pianeta (tutto, in pratica, tranne il nostro respiro), perchè pensare proprio al libro, che fa così bene alle coscienze? Perchè bisogna anche pensare ai lati meno belli delle cose. Di tutte, speci di quelle che consideriamo “sacre”, superiori. Un libro è per sempre, come un diamante. Anche una foresta. O almeno, dovrebbe esserlo.
Curioso: i tanto detestati I pad, Kindle, supporti tecnologici per la lettura digitale, sono orribili, è vero. Ma condensano intere librerie in un rettangolino e, a ben pensarci, in questo senso sono molti più ecologici dei libri.
La carta riciclata ancora è privilegio di pochi, solo uno sparuto gruppo di editori ne fa uso regolarmente.
Il resto, sono foreste che continuano a essere uccise.
Ecco, solo questo. Che nulla tolglie alla bellezza, alla missione, al valore indiscutibile dei nostri libri.
Ma quando li guardiamo, pensiamo anche che sono tutto tranne ecologici.
E se un libro è per sempre, anche una foresta avrebbe il diritto di esserlo. O no?
Parola di indefessa lettrice e cronica amante dei libri
In Italia, si sa, siamo tutti scrittori. Peccato che non legga nessuno. E, per scrivere davvero bene, bisogna prima essere innanzitutto buoni lettori. Pechè nessuno ti insegna l’italiano quanto un libro, nessuno ti offre direzioni su ritmi, scorci di espressioni, parole nuove. Nessuno ti guida come lui. Lui, lui è il tuo vero maestro. Non servono scuole di scrittura creativa (e neppure di scrittura “non” creativa”): per imparare basta affidarsi alla lettura.
Leggere. Farlo con amore, diligenza e tanta, tanta umiltà. Mi occupo di editoria da vent’anni. Fra le mie mani sono passati tanti testi di aspiranti scrittori. Quelli veramente “maturi”? Pochi, anzi pochissimi. Perchè, invece di leggere, si passa il tempo a scrivere. Per carità, l’esercizio è ottimo, ma di qui a farne un qualcosa di letterario, con un respiro più universale del solito resoconto diaristico, è ben altra cosa.
Ma, si sa, l’Italia è invasa di libri. Tante pubblicazioni a fronte di pochi lettori (solo il 50% legge un libro all’anno. Un libro all’anno, non la Ricerca di Proust o la collezione di Simenon…). E se è già difficile innamorarsi di libri scritti da autori già navigati (ah, quel colpo di fulmine è così raro), figuriamoci cosa accade con i testi di autori in erba.
A questi scrittori “giovani” e a quelli che vogliono scrivere un libro dico: leggete, leggete, leggete. E lo dico anche ai ragazzi, ai bambini, a coloro che rappresentano il nostro domani. Manca, in Italia, una didattica della lettura. Manca, ferocemente, nelle nostre scuole. Il libro “vive” dentro di noi, va capito, amato, bisogna riuscire a trasmettere una passione che non si risolve in lezioni noiose condite da citazioni antologiche. Occorre riscoprire un modo “selvaggio” di entrare nel testo, arruffato, curioso, come ogni amore che nasce. Già, perchè tra noi e il libro è un po’ come una relazion sentimentale, si sviluppa un rapporto di coppia fatto di condivisione, fiducia, avventura. E quando ci si lascia, alla fine, non è mai per sempre. Rimane dentro di noi, e dallo scaffale della libreria ci ricorda le parole e le storie che abbiamo amato.
La scuola deve aiutare lo sviluppo di questo amore. Senza cultura non c’è domani. E i libri, i libri sono i traghettatori più veri perchè ti costringono a fermarti, a pensare. Pesano le cose, danno il tempo di riflettere e di tornare indietro sulla pagina bianca.
Dobbiamo ricominciare dalla lettura. E dalle scuole.
(parte 1)
Mi rendo conto che scrivo pochissimo, sul mio povero blog.
Sono sempre in viaggio, frenetica, spossata, felicemente creativa ma creativamente…felice?
Chissà. La scrittura mi manca. E’ l’appuntamento con me, lo spazio bianco che diventa parola, sospensione dell’attività, ricordo di sé.
Ci pensavo oggi, in questa domenica di primavera in cui i ricordi sopiti si svegliano, cercano la punta del cielo, aprono i petali di un impossibile oblio.
La primavera porta cose vecchie e nuove, desideri e torsioni dell’anima.
E’ bello, incantarsi, dondolarsi, oscillare.
E così, così penso alla mia amica, la scrittura. Amica a volte vicina, a volte lontana ma che tuttavia, come ogni primavera, allunga la luce del giorno e ritorna, sempre.
Viaggio tutte le settimane, in treno. E ogni volta, alla stazione di Falconara Marittima, in attesa della coincidenza, devo sciropparmi le cazoni diffuse dagli altoparlanti recentemente installati.
L’ultima “violenza” alle mie povere orecchie. La stazione dà sul mare, lo sguardo insegue le onde fino alla curva in cui muore il Monte Conero, che sprofonda nell’acqua deponendo a terra la città di Ancona. Di sera, nell’attesa, è bello guardare le luci che interrompono il buio. Peccato che, da qualche tempo, una orribile stazione radio funesti me e gli altri viaggiatori con il suo chiacchiericcio ininterrotto.
Non basta più la musica nei bar, nei ristoranti, nei supermercati…Adesso perfino all’aperto, alla stazione.
Mi sento aggredita. Sono stanca, stanca di questo mondo invadente che viola i silenzi, li teme come la peste, invadendo, strisciante, tutte le porzioni lasciate libere da aumobili, voci, rumori di ogni tipo.
Siamo la “lounge society”, la società (presunta) fica in cui l’ascolto di musiche varie è “cool”, di dà un senso metropolitano, globalizzato (sì, la globalizzazione della demenza).
Ci lobotomizzano, questi “rumori” imposti che annulano i pochi silenzi superstiti. Sono una forma raffinata e moderna dell’elettroshock. E così, anestetizzati e tranquilli (in realtà sempre più nevrotici) ci inquiniamo con note e voci che magari neanche ci appartengono, ma che subiamo, come ogni cosa ormai, dall’ennesimo scandalo politico allo sgarbo mentre fai la fila al mercato, con indefessa indifferenza.
Il silenzio fa paura, tormenta la coscienza che non può giocare a rimpiattino con sé stessa, agevolata dagli strilli quotidiani a cui ci sottoponiamo.
Duinque va combattuto, con ogni mezzo. E, si sa, i mezzi suadenti sono i più pericolosi, dato che incantanto…come un serpente.
E invece io vorrei tirargli davvero il collo, a questo serpente-radio che si diffonde e ondeggia nell’etere, insinuandosi nei miei pensieri, aggredendo lo spazio intorno. Spazio aperto, non chiuso.
SE un coglione qualunque nella sua auto vuole ascoltare Vasco Rossi a migliaiai di decibel, è libero di farlo (col finestrino chiuso, ovviamente), se in discoteca una massa di pecore vuole sciropparsi la disco music anni 80, perfetto. Ma invadere anche lo spazio libero, aperto, che appartiene a tutti e nessuno, è una vera intrusione.
Il bello è che non è un sottofondo, anzi. Si impone, arrogante, tutto il giorno.
E penso che la prossima volta tirerò la valigia contro uno di quegli altoparlanti.
E non pagherò i danni.
Non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all' orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
Alda Merini
Incantevole, saggia Alda. Più saggia della nostra follia moderna, fatta di bisogni fittizi giocati su un'economia fasulla, che disdegna i veri moti del cuore e dell'anima.
Viviamo in un mondo senza poesia, privato dei suoi versi e privato della voce di quei poeti che, nei secoli, hanno amato. E hanno osato.
Osato scrivere il canto.