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Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.
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La mia Istanbul

Viaggio di una donna occidentale attraverso la Porta d'Oriente

 

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LA NOTTE MI STREMA

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Pubblicato: 23 Giugno 2023
 
La mia notte mi strema. Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest’evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me. Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero.
 
La mia notte non porta consiglio.
La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti. La mia notte si intristisce e si perde. La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini. Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori. La mia notte è lunga, lunga, lunga.
 
La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta.
 
La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte. Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno. La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo. Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina-disordine, è proibito. La mia notte si chiede cosa non sia proibito. Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione. Una carne non è fatta per sposare il nulla. La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio. La mia notte si nutre di echi immaginari. Essa, può farlo. Io, fallisco.
 
La mia notte mi osserva. Il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa. La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza. La mia notte ti aspetta. Il mio corpo ti attende. La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell’incavo della mia spalla e che io riposassi nell’incavo della tua. La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere. La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio. La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo. La mia notte diventerebbe dolce. La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te. La mia notte è lunga, lunga, lunga.
 
Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio. Sta morendo perché non sei qui e mi uccide. La mia notte ti cerca continuamente. Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi. Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra. Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno. Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio. La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile. Mi manchi tanto, tanto. Le tue parole. Il tuo colore.
 
Fra poco si leverà il sole.
Frida Khalo

 

LO SPAZIO DELLE PAROLE

Dettagli
Pubblicato: 06 Giugno 2023

 

L’ho capito fino in fondo proprio qui, a Tangeri, nello spazio bianco di un mattino di vento.

Funzionano, le parole, solo quando ci arrendiamo, quando smettiamo di pretenderle. Loro viaggiano sulle frequenze, sono un suono. Hanno un peso, una direzione. Ho sempre suggerito ai miei allievi dei corsi di editoria e scrittura di considerare le parole come una partitura musicale, di leggerle come si legge un brano ad alta voce, sviluppando una sorta di orecchio assoluto.

Sì, vanno ascoltate, le parole. Producono armonie e disarmonie, come la musica. La musica delle parole fa di noi i direttori di un’orchestra anarchica in cui sono loro a scegliere noi, e a guidarci. Penso agli esperimenti di Masaru Emoto, lo scienziato giapponese che scriveva le frasi sui foglietti che appiccicava a bottiglie d’acqua che venivano poi esaminate al microscopio: i cristalli che si formavano disegnavano geometrie molto diverse tra loro a seconda della “qualità vibrazionale” delle parole. Parole d’amore generavo cristalli armonici, parole di odio e disprezzo davano vita a geometrie disarmoniche, che risuonavano con il tipo di energia liberata. Sì, perché la parola è energia. Una forma di energia molto potente.

Non è solo l’”abracadabra” dei maghi o la parola segreta degli iniziati spirituali, la parola è madre di ogni generazione nella materia. In principio era il verbo.

E il verbo è suono.

Non a caso nelle Vie dei canti gli aborigeni australiani narrano la creazione del mondo attraverso il nominarlo. Il nome è padre, il nome è madre. La parola dunque è molto potente, può essere risorsa o trappola, cibo che sfama o coltello che uccide. L’uomo lo sa bene, ne ha sempre fatto uso. Ecco perché dobbiamo avvicinare le parole con rispetto e umiltà. Attendere, avere pazienza, come nella leggenda della tribù Hopi in cui un indiano in cammino si ferma e rallenta per attendere la sua anima.

Le cose belle, le cose preziose hanno bisogno della qualità del tempo. Quel tempo che oggi ci sfugge, immersi drammaticamente in una società velocissima che sceglie l’intelligenza artificiale prima ancora di aver imparato bene a usare quella “fisiologica e naturale”. Ecco,  le parole ripagano chi è consapevole della preziosità del tempo, della pazienza. Se le parole sono musica, dobbiamo trovare gli accordi. E sapremo “intonarle” in sintonia con la nostra ispirazione. 

Scrivere è sempre un fuoco, una febbre.  Ẻ attrito che genera una scintilla. A volte sembra quasi una malattia. Una malattia di cui non voglio la cura.

 

 

 

 

IL VECCHIO E IL MARE DELLA MEMORIA

Dettagli
Pubblicato: 04 Giugno 2023

L'ho incontrato a Cuba, moltissimi anni fa. Nel 1999 io ero ancora una ragazzache viaggiava insieme al sogno della rivoluzione di Cheguevara. E Cuba era uno degli ultimi territori in cui il sogno romantico di una società più giusta, più attenta ai deboli poteva trovare spazio. Ma all'Havana il sogno si infranse sbattendo contro gli spigoli aguzzi della propaganda ferma alla rivoluzione raccontata ogni giorno in televisione, si infranse davanti agli occhioni grandi e truccati di ragazzine in marcia verso gli  hotel dove le attendeva l'europeo con il portafogli pieno e il passaporto giusto, promessa e garanzia di una terra lontana dove non sarebbero state portate, si infranse nelle file di turisti che avevano la precedenza in ogni negozio, e si infranse nella consapevolezza dell'insufficienza di ospedali efficienti e di garanzie minime di un cibo per tutti. E, soprattutto, si infranse davantgi alla fuga dei balzeros con cui ogni notte qualche disperato sognatore osava prendere il largo per raggiungere il suo sogno in Florida. No, senza libertà non esiste giustizia. Senza possibilità di critica, non esiste giustizia. Senza uguaglianza per turisti e locali, non esiste giustizia.

Se il Che era un romantico, Fidel invece dei suoi studi di avvocatura  aveva mantenuto la strategia e il pragmatismo, che avrebbero traformato l'isola in un regime dittatoriale non troppo migliore da quello che lo aveva preceduto. E mentre il Che scelse di andare a morire per salvare altri popoli, Castro si mise a governare il suo, di popolo, con le maniere forti. Troppo forti.

E mentre giravo per le strade dell'Havana tra meraviglia e disicanto, comunque stregata da quel luogo magico di allegria,di vita frugale capace però di illuminare i sorrisi, ho trascorso lì alcuni dei momenti più belli.

Perchè a Cuba c'è la villa di Hemingway, la Finca Vigia,  con  il suo studio che ancora mostra i libri e la macchina da scrivere (su cui magari ancora veglia lo spirito dei gatti tanto amati dallo scrittore), il giardino pieno di alberi e fiori e la barca con cui andava a pesca.

Ma su quella barca non era da solo. C'era, con lui, Gregorio Fuentes, un vecchio pescatore che fu così presente, così significativo nella vita di Hemingway da diventare l'eredità vivente de "Il vecchio e il mare", uno dei capolavori assoluti dello scrittore americano.

L'ho incontrato, Gregorio Fuentes.

Viveva poco lontano dall'Havana. in una casetta con la porta sempre aperta, come tutte le porte delle case cubane. Forse perchè c'è poco da rubare, o forse perchè l'ospitalità serena con cui la gente accoglie eventi e persone non può che non trovare dimora in un invito all'accesso, anche simbolico.

Quando sono arrivata era in casa, e si dondolava sulla sedia fumando la pipa. Sopra di lui, il ventilatore alleggeriva il caldo disperdendolo nel soffio del vento.

Parlava, parlava, e rideva, e poi parlava ancora. Qualche turista gli stava seduto davanti, altri ascoltavano in piedi.

A quel tempo non conoscevo ancora la lingua spagnola, ma capivo che stava parlando del suo rapporto con Hemingway, e dei loro giri in mare.

Ero lì, commossa, perchè non puoi non commuoverti davanti al testimone di un tempo prezioso. La lettura non ci porta solo in altri mondi, ma ce li fa vivere, li trasforma nei nostri paesaggi interiori. E così, diventano un po'  anche nostri. La mia Cuba, il mio Hemingway, il mio Gregorio Fuentes. Ma quel "mio" non è possesso, indica piuttosto un luogo del cuore in cui si deposita, intimamente, ciò che amiamo tanto.

A quel tempo, per fortuna, non esistevano i telefonini che avrebbero saccheggiato l'esperienza, l'avrebbero subito vanificata appiattendola in un selfie, o una storia su Instagram.

Invece eravamo tutti lì, in un ascolto mai distratto, a vivere quell'esperienza con pienezza e intensità.

Non importa se conservo solo un paio di scatti e qualche minuto di girato (avevo una videocamera,  a Cuba, perchè da sempre in me  il viaggio e il giornalismo narrativo  camminano insieme, anche senza la necessità di pubblicare, si tratat piuttosto di un modo di vivere e di sentire).

Conservo tutto nel cuore. E il ricordo ha la magia sfumata del tempo, non è incastrato nel digitale ad alta definizione che oggi sottrae tanta poesia (preferisco le macchine fotografiche analogiche, quelle che offrono immagini sfumate, in cui vibra l'eros - inteso in senso più ampio - della suggestione, non la pornografia della definizione ostentata). E dunque vive in me come un sogno. Frammenti, colori in cui dominano il bianco e l'azzurro, risate, sguardi, strade sterrate, palme, case diroccate...

Di quel momento, soprattutto, porto nella memoria lo sguardo allegro di ragazzino.

Gregorio Fuentes non c'è più. A me piace dire "è passato oltre", perchè sono convinta che, dato che l'energia non muore ma si trasforma, ogni forma umana vive poi altre dimensioni, altre galassie, altre possibilità di espressione.

Non c'è più ma quel ricordo si apre ogni volta che incrocio la mia copia de Il vecchio e il mare.

La letteratura vive nei luoghi, nelle persone, cammina nella memoria dei lettori e negli spazi delle case che gli scrittori hanno abitato.

Quell'incontro è stato, semplicemente, magia.

 

PAROLA DI ALDA

Dettagli
Pubblicato: 17 Maggio 2023
 
 
Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri.
Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita.
Sono una piccola ape furibonda.
Chi decide cosa è normale? La normalità è un’invenzione di chi è privo di fantasia.
Illumino spesso gli altri ma io rimango sempre al buio.
La pazzia mi visita almeno due volte al giorno.
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
 
( Alda Merini)

Lost and never found

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Pubblicato: 12 Maggio 2023

 

Ho perso di nuovo un libro. Di nuovo, dico. Eppure lo avevo intravisto due mesi fa. In casa, nascosto nelle librerie delle stanze. Più che una casa, sembra la Medina di Marrakech. E dopo giorni di vane ricerche, mi arrendo. Lo ricompro. Già fatto altre volte. Assurdo.

Ps: ah, il libro è’ Con Chatwin’ di Susanna Clap, il suo editor. Adelphi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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