Brutta bestia, la routine. Arrugginisce le rotelle del cervello dei giornalisti e, quel che è più grave, ammorba i poveri lettori, costretti a vedersi riproporre periodicamente le stesse notizie, le stesse interpretazioni, perfino le stesse parole.
Prendiamo il termine "emergenza". Stando al vocabolario, dovrebbe voler dire "situazione eccezionale", "stato di allarme", "avviso di pericolo". Insomma l’emergenza dovrebbe essere l’eccezione, nella vita della gente. Ma stando ai giornali è la regola. C’è un tg o un quotidiano senza un’"emergenza" nei titoli? In Italia sembra che ogni cosa sia un’emergenza: dei rifiuti, del maltempo, del prezzo dei carburanti, della giustizia, dell’immigrazione. E ancora: emergenza criminalità, emergenza ubriachi al volante, emergenza stragi del sabato sera, emergenza bagagli in aeroporto, emergenza incendi. Come dice Luca Goldoni, bisognerebbe cambiare la definizione scritta nei vocabolari in questo modo: "Emergenza: stato di assoluta normalità".
La vera emergenza forse è la banalità del linguaggio giornalistico.
(Michele Brambilla, Sempre meglio che lavorare)
Giustissimo. Il libro di Brambilla, giornalista ironico e dissacrante, denuncia vizi e illusioni del giornalismo, un sogno per chi non fa questo mestiere, a volte un incubo, invece, per chi lo fa. Ci sono anche splendori e nobiltà, d’accordo, ma è bene conoscerne la fuffa da vicino.
E sulla pigrizia del giornalista, nulla da dire. Ha ragione.
Tra l’altro questa pigrizia invade ormai le parole, proprio quelle parole che caratterizzano il mestiere del giornalismo. Si respira aria viziata.
Personalmente, mi innervosisco da morire quando leggo o ascolto le coppie noiose, quelle parole abbinate in modo pedissequo, sempre.
Come, per esempio: "un silenzio assordante", "lo scoppio della pace", "un omicidio efferato", "una sanguinosa battaglia". E chi più ne ha più ne metta.
La nostra lingua è meravigliosa, vive di magie, di incontri alchemici tra sostantivi avverbi e aggettivi. Perché ridurla a un coma perenne?
Perché non osare mai? Perché non avventurarsi in cerca di quelle alchimie?
L’italiano è vastissimo. E’ una terra da percorrere in lungo e in largo. E questa terra è fatta di boschi, di deserti, di montagne e di mari. Di autostrade e di stradine sterrate.
Ma a volte ci fermiamo per ignorare le possibilità di quel paesaggio magnifico.
E allora tutto diventa uguale, noioso, prevedibile, banale.
La vera emergenza, ha ragione Brambilla, sono le parole.