Quando eravamo piccoli, immaginavamo il mondo dei libri come un mondo popolato da persone aperte, tolleranti, con un cervello gigante, spazioso come le praterie degli indiani d'America.
Editori, scrittori, redattori...
Un mondo di gente colta, di gente che sa spaziare oltre i suoi confini.
Io poi sono cresciuta, e in quel mondo ho iniziato a lavorarci.
E ho capito che il mio era solo un sogno.
Perché i libri vivono solo nella testa, in questo mondo. Non vivono nel cuore.
E, senza aprire le pagine sul cuore, un libro rimane solo "lettera morta". Buona per fare "ammasso di cultura", per fomentare l'egopatia, il narcisismo.
Per far finta di essere in "missione" divina. Quei libri, sulla testa, non servono in realtà a nulla.
Devono scendere, diventare "umani", sporcarsi di sentimenti condivisi sul serio, condivisi con uno scopo sociale.
La "bella letteratura" aiuta le nostre giornate, alimenta il nostro intelletto, ma non migliora di certo il mondo.
E siamo arrivati un un momento critico, decisivo per il futuro dell'umanità.
Se non tiriamo giù i libri dal cuore, se non li mettiamo in mezzo al mondo, fra la gente, usandoli come un'arma di pace, non servirà a nulla essere buoni editorii, buoni lettori, buoni scrittori.
Se non si legge molto, in questo paese, forse la colpa non è solo del ventennio berlusconiano, della televisione, delle tecnologie...
Forse la colpa è anche nostra, è anche di quegli operatori del settore che si accontentano di un "cenacolo per pochi eletti" (anzi, di un "cenacolo per pochi letti").
La frattura tra il libro e la società sta anche nella testa. E si salda solo passando attraverso il cuore.