Avevo deciso di non scrivere nulla. Per pudore, per rispetto, per amore dei silenzi su verità dolorose, più grandi di me.
Ma non ce la faccio più. Non ce la faccio più ad assistere, impotente, alla strumentalizzazione di questa morte, diventata un caso politico e un’occasione di conflitto fra istituzioni.
Non ne posso più dei cortei, né di quelli pro né di quelli contro la decisione cruciale.
Non ne posso più di questi avvoltoi mediatici che piombano su una preda ancora calda per farne organi da macello.
Non ne posso più delle Chiese che invadono la politica né della politica che invade decisioni personali, private.
Non ne posso più dei diritti violati, stuprati per consolidare le varie forme del potere.
Non ne posso più di vedere un padre maciullato dai giochi politici, che ancora stanotte non sa, non sa se riuscirà a interrompere lo strazio di sua figlia.
Non siamo nessuno, per decidere della vita e della morte. Ma non possiamo non farci domande sulle stronzate che sentiamo raccontare in questi giorni, né ignorare i quesiti che infrangono le acque tranquille delle nostre coscienze.
Stasera la Cei dichiarava che Eluana viene uccisa perché non "corrisponde ai criteri di efficienza della nostra società". Ah sì? E una vita in stato vegetale sarebbe un criterio di non efficienza? Stronzate. Vero, la nostra è una società ammalata di produttività, affogata nella melma dorata di vite dinamiche, belle e socialmente perfette, nel "produco dunque sono-anzi appaio", ma qui non si tratta di efficienza, qui si tratta di una vita non vita sostenuta artificialmente.
Eh già, perché non si dice mai abbastanza quanto l’accanimento terapeutico sia una delle piaghe del nostro modernissimo secolo. Se questa ragazza, diventata donna nella notte della sua gioventù, non fosse stata attaccata agli strumenti che la tengono in vita attraverso un nutrimento artificiale sarebbe già morta, morta tanto tempo fa.
E dove sarebbe la tanto invocata volontà divina? Non è forse l’uomo che strappa a Dio le decisioni tenendo in vita come Zombie uomini e donne in coma, oppure ridotti al lumicino da malattie estreme, incurabili, come quella che si mangiava la vita di Welby? Come quella che si è già presa la vita di Eluana?
Non è forse vero che il tanto citato – questi giorni – papa Wojtyla a un certo punto ha deciso di non tornare più in ospedale per essere lasciato nella sua stanza, chiedendo di essere lasciato in pace per "tornare alla casa di Dio"?
Avrebbe potuto essere "curato" ancora, come oggi, con ostinazione, cotinua a fare la scienza, che considera la morte un oltraggio alla vita. Capisco, per la scienza dopo la morte esiste il nulla. Ma la Chiesa? Continua a parlare di diritto alla vita. Ma il diritto alla morte?? Non è forse la morte il passaggio fatale, il momento supremo che ci porta verso la luce? C’è una sacralità della vita, è vero. Ma esiste anche la sacralità della morte. E sì, mi spiace, ma penso che si possa credere in Dio e allo stesso tempo appoggiare questo padre che vuole interrompere una finzione. "E’ scomoda", dice Berlusconi insultandolo. Ignorante. Cafone. Ma come ti permetti? Come fai a intrometterti in una realtà custodita nel segreto della sofferenza di un padre che da anni assiste alla vita artificiale di un essere umano tasformato in una larva? Possiamo solo avvicinarci in punta di piedi, con tremore e rispetto, davanti a questo segreto.
Non sa, Berlusconi, con i suoi bei figli da copertina, quanto possa essere sofferta una decisione del genere.
Solo un’esperienza diretta ti sbatte in faccia tutta la crudeltà di un’esistenza drammatica, dedicata a ciò che resta di un figlio. Senza la pace sinistra di chi non c’è più per davvero. Ma lei c’è, Eluana c’è, e c’è solo grazie alla nostra tecnologia, alle nostre macchine, a una società che non si arrende davanti alla morte.
E a volte invece bisogna lasciar andare. E, soprattutto, non intromettersi.
Se si parla di rispetto armonioso della natura delle cose, allora bisogna mollare la presa.
O, quantomeno, lasciare ad altri il diritto di farlo.
Io, io vorrei che con me lo facessero. Vorrei volare via, vorrei tornare a casa.
E sono certa che chi mi conosce saprebbe che fare. Il cuore di un genitore, per quanto pieno di errori, di limiti umani, di meschinità, conosce il mistero della vita e della morte di un figlio. Perchè un figlio è un figlio.
E vedere queste arene politiche mi disgusta. Mi fa arrabbiare.
Scavalchiamo perfino una Costituzione pur di mettere le mani sulla vita altrui.
Sacralità della vita. Giusto, giustissimo. E la sacralità della morte?
Esiste una dignità del vivere ma anche una dignità del morire. E la Chiesa che fa? Tratta la morte come una sconfitta, quando i casi diventano scomodi. Perchè un suicidio per un amore finito non è paragonabile alla richiesta di un Piergiorgio Welby, o di un Beppe Englaro, di interrompere vite appese alle macchine.
D’accordo, non è Eluana a scegliere. E’ il padre a farlo per lei. E’ lui che se assume il peso "karmico".
Eluana non parla. Non sente. Non ascolta. Non decide. E’ un cuore che batte perchè aghi e sondini infilano acqua e sostanze nutrienti in un corpo.
Piantiamola con questo can can davanti a un padre che merita silenzio e rispetto.
Davanti a una scelta dolorosissima, lancinante, pesante come il mondo stesso.
Quest’uomo dovrebbe essere lasciato stare.
E tutti, laici e religiosi, politici e sacerdoti, dovrebbero fare un passo indietro, abbandonare il rumore per ascoltare il silenzio. Una donna già morta muore di nuovo, e un padre sceglie di lasciarla andare via, compiendo l’estremo gesto.
Sacralità della vita. Sì, ma c’è anche la sacralità della morte.
Lo sapevano bene gli indiani d’America, con una saggezza che abbiamo dimenticato del tutto. Se ne andavano in punta di piedi, sapendo che ogni giornata poteva essere "una buona giornata per morire".
Da noi no, non si può morire. Si può solo vivere, a tutti i costi. Anche a costo della vita stessa.