Ancora mettiamo entrambi le mani sul fuoco:
tu per il vino del lungo fermento notturno
io per la mattinale acqua sorgiva, che non conosce i torchi.
Il mantice attende il maestro, in cui confidiamo.
Non appena l’ansia lo scalda, il soffiatore giunge.
Va’ via prima di giorno, arriva prima del tuo richiamo:
è antico, come la penombra sopra le nostre ciglia rade.
Di nuovo egli fonde il piombo nella caldaia di lagrime:
per una coppa a te – occorre solenizzare il tempo perduto -
a me per il coccio pieno di fumo – che sarà versato nel fuoco.
Mi scontro così con te, facendo tintinnare le ombre.
Scoperto è chi esita, adesso,
chi ha scordato la formula magica.
Tu non puoi e non vuoi conoscerla,
bevi sfiorando l’orlo, dove è fresco:
come un tempo, tu bevi e resti sobrio,
le ciglia ti crescono ancora, tu ancora ti lasci guardare!
Io con amore all’attimo protesa sono già, invece:
il coccio mi cade nel fuoco, piombo mi ridiventa
qual era. E dietro al proiettile sto,
monocola, risoluta, defilata,
e incontro al mattino lo invio.
(Ingeborg Bachmann, Poesie)
Poco da aggiungere, quando la poesia conosce gli arcani di pensieri e parole, quando traccia soavi combinazioni alchemiche in cui l’anima danza.
La parola resta sospesa nello stupore, dondola sul tempo avanzando verso altri lidi, notturni, liquefatti, misteriosi come questa penombra stessa.
Ecco, in questa domenica uggiosa di maggio, questi versi sono semplicemente perfetti.