Modificherò il Sahara per te
Io ti saluto così. A modo mio. Tornero' a cercarti fra le dune del Sahara. E lì, lì io ti troverò. Sarai in quel "battesimo della solitudine" che mi insegnasti a cercare, senza guida e cammellieri. "Vai via, resta sola, non dare retta a nessuno. Cerca il battesimo del silenzio". L'ho fatto. Ed è stato stupore, beata sospensione di ogni mutamento, ogni assillo, ogni divenire in cui si frammenta questa esistenza così misteriosa. In quello spazio di sabbia rossa l'origine e la fine si incontrano e lasciano spazio a un abbagliante stupore in cui si affaccia la vastità di ciò che ci presiede, e ci avvolge, da sempre. E il respiro si ferma, gli occhi si sgranano, il tempo si distende lungo la linea dell'orizzonte curvata nella poesia che solo le braccia generose del deserto sanno offrire. Ti cercherò lì. Ti troverò. Io so che sei lì. Sei in ogni passo sulla sabbia e in ogni orma che scompare via. Sei in ogni stella stampata nel cielo sopra la tenda, e in ogni flauto soffiato dal vento. Tu sei nel Sahara, il Sahara è in te. Non sono per tutti, i deserti. Sono fatti per i poeti, per i camminatori. E tu eri un poeta e un camminatore. Di quelli veri, antichi, preziosi in questo mondo vano e superficiale. Tu sei stato il mio poeta del deserto, il mio ispiratore. Non è facile capire la festa interiore accesa da quello spazio irreale che ti avvicina a quello che ognuno chiama come vuole, ma che esiste, e lì si disvela. Quel bagliore di infinito ti resta addosso per sempre. Ti immagino ora nel più importante dei tuoi viaggi, il più ardito e impegnativo. Il vero viaggio dell'ignoto, dei silenzi, della contemplazione. Sei partito con uno zaino imbottito di persone con cui hai fatto strada e scambiato cuore. Non è poco, sai? E' il tuo Sahara, adesso. Soltanto tuo.
"Ho spostato un granello di sabbia e ho modificato il Sahara", scriveva Borges. Sposterò un granello di sabbia e modificherò il Sahara per te.
Ciao, zio. Buon viaggio.
La ferita di Istanbul
Una riflessione un po' diversa. Perchè Istanbul è una ferita di una ferita più grande, che non ha "nemici" specifici ma che riguarda noi tutti. Finché non lo capiremo, vivremo ovunque sotto assedio.
Un assedio creato dal mondo intero.
http://www.lamiaistanbul.com/19-blog/cultura/84-la-ferita-di-istanbul.html
Il nuovo numero della Stanza di Virginia
Online il nuovo numero della Stanza di Virginia!
Come sempre, un grazie a tutti quelli che ci aiutano con i loro preziosi contributi.
Francesca Pacini
Il pessimo giornalismo
Un esempio di pessimo giornalismo firmato da Magdi Cristiano Allam.
Un titolo ironico legato a una tragedia è" qualcosa che rispecchia la profonda ignoranza, la superficialità, il consumismo mediatico dei nostri tempi. I giochi di parole sono i benvenuti, nei titoli. ma non in casi delicati e drammatici come questo.
Del resto, che aspettarsi da certi giornali e giornalisti?
Che rovinano il lavoro di altri che, in silenzio, senza meno clamore, cercano di raccontare il mondo è la società.
Lo spazio già esiguo si riduce ancora per chi ha scelto un modo diverso di fare giornalismo.
La fotografia scelta per il libro inchiesta (inchiesta? siamo sicuri?) rivela un gusto pessimo quanto il titolo del libro. Mi mancano i giornalisti veri, i libri seri, i giornali che scavano nella realtà senza cercare il consenso circense ottenuto con il ricorso a strategie da baraccone.
Purtroppo, oggi, il declino del buon giornalismo è un dato di fatto.
Tiziano Terzani, quando ricordare fa bene
Lo so anche io, che la penna di Oriana Fallaci, narrativamente, ha un talento che Terzani non possedeva nella stessa misura. Ma mentre si rileggono, oggi, gli scritti di Oriana, a me piace invece rileggere, la sera, le Lettere contro la guerra, perché trovo tracce di un pensiero che continuo ad amare e che cerca di vedere anche al di là. Detesto il "terzanesimo", ma reputo che Terzani abbia fatto della sua vita e del suo pensiero un bel cammino.
Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l'etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. Anche a me capita che, come ora, ogni volta che ci passo, questa città mi fa male e mi intristisce. Tutto è cambiato, tutto è involgarito. Ma la colpa non è dell'Islam o degli immigrati che vi si sono installati. Non sono loro che hanno fatto di Firenze una città bottegaia, prostituta al turismo! E' successo dappertutto. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perchè i musulmani si atteando in piazza del uomo, perché i filippini si riuniscono il giovedì in piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno alla stazione. E' così perché anche Firene si è "globalizzata", perché non ha resistito all'assalto di quella forza che, fino a ieri, parea irresistibile: la forza del mercato.
Nel giro di due anni da una bella strada del centro, via Tornabuoni, in cui fin da ragazzo mi piaceva andare a spasso, sono scomparsi una libreria storica, un veccio bar, una tradizionalissima farmacia e un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda.
Credimi, anche io non mi ci ritrovo più.
Per questo sto anchìio ritirato, in una sorta di baita nell'Himalayua indiana dinanze alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì amestose e immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermamenti come tutto nell'universo.
La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornare a prendere lezione.
Tornaci anche tu.
Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più.
Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia.
Ti saluto, oriana, e ti auguro di tutto cuore di trovare la pace. perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte.
(Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra)
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