Immagini o parole?
Immagini o parole? La forza delle immagini colpisce perché arriva immediatamente all’emisfero destro del cervello, quello delle intuizioni, della creatività, delle emozioni. La parola invece, in questo senso, è meno “forte” perché deve evocare quell’immagine che invece l’immagine, nel primo caso, fornisce da sola. Esistono poi molteplici forme di scrittura, alcune più “cerebrali”, altre più emotive, legate direttamente alle immagini. Pensiamo a Proust, per esempio: le sue descrizioni della società francese del suo tempo procede attraverso la rappresentazione pittorica: i suoi brani sono simili ai quadri impressionisti. Ricordo ancora (sono passati molti anni da quando ho letto La Recherche) una minuziosa descrizione del vestito di Odette, dei drappeggi e delle stoffe del suo abito, e del riflettersi del sole sul suo ombrellino, fra le foglie dei giardini. E’ un’immagine che mi accompagna da sempre, e che ha la stessa forza di un quadro. Di fatto Proust dipingeva con le parole. Dunque per rispondere bisogna analizzare bene il tipo di scrittura a cui ci riferiamo. Sicuramente l’immagine è più diretta, ci parla senza mediazioni (la parola è comunque mediatore, strumento dell’immagine). La vera forza sta nell’abbinamento di immagini e parole, come sanno bene i pubblicitari più bravi e creativi. Allora, in questo caso, possiamo veramente “impressionare”, arrivare dritto al cuore. Una magica combinazione, un’alchimia, una danza di equilibri e rimandi. Penso a un esempio che si rifà appunto alla pubblicità. Anni fa, le campagne animaliste usavano la fotografia di una piccola volpe, insieme alla scritta: “Sto cercando la mia mamma. E’ forse nella tua pelliccia”? Né la foto da sola, né le parole da sole avrebbero raggiunto la stessa forza. Ma gli esempi sarebbero moltissimi. Comunque, chi scrive, o vuole scrivere, per mestiere, di solito fa molta attenzione anche al mondo delle immagini (non a caso si hanno passioni collaterali come il cinema, la pittura, la fotografia): si tratta sempre di arte della narrazione. E spesso ci sono intersezioni e richiami.
Si scrive
Si scrive sempre per una ragione.così come si ama, si mangia, di dorme, si viaggia. ognuno, al riguardo, ha la sua, di ragione. per alcuni è terapia, per altri esibizione narcisisitca, per altri ancora fuga, o impegno. per tutti quelli che scrivono, però, le parole sono le infaticabili compagne di viaggio. quelle con cui ti svegli al mattino e con cui vai a letto la sera, quelle che bussano nella tua mente quando vorresti il silenzio, e che fuggono via quando le cerchi perchè ti servono in quel momento. Il loro “momento” non coincide sempre con la tua intenzione, con il tuo “momento”. ma quando accade, allora tutto fluisce magicamente in una magnifica danza tra ispirazione, cuore e cervello
L’ODORE DELLA SOLITUDINE
A volte nelle persone avverto l’odore della solitudine. E’ un odore acre, pungente, sospeso intorno e in alto, come una nube. è l’odore di chi non condivide, di chi, anche in mezzo alla gente, non vive sulla pelle o sulla testa ma si ritira in qualche ripostiglio interiore, sconosciuto anche a lui stesso. e questo odore non a caso ricorda un po’ quello dei vecchi, e forse si tratta infatti di una prematura vecchiaia, un precoce avvizzimento del cuore. Ma basterezze farsi raggiungere da una carezza, una carezza vera, per sciogliere quell’odore.
SULL’AMICIZIA
L’amicizia è una cosa seria. Non ama essere messa accanto ai nostri vestiti nell’armadio, per essere tirata fuori quando serve, all’occorrenza. Non le piacciono le situazioni di circostanza, come i complimenti o le condoglianze dovute ma non sentite. Ama mettersi comoda, in pantofole o anche senza, che è pure meglio.
Niente convenevoli, belletti, lusinghe. Quelli vanno bene per il bridge delle anziane signore perbene.
Non è perbene, l’amicizia. Smonta un’idea per farti vedere la realtà che ti stai negando, ti acciuffa per i capelli con violenza prima che tu ti butti nel burrone che tu pensi candito, o magari ti segue passo passo, non interviene ma di sicuro non tace neanche. Può essere perfino aggressiva. Di certo è scomoda.
E poi è spettinata, non si fa la messa in piega.
Non guarda neanche l’ora: quando chi ama ha bisogno, ha bisogno. Si alza e corre.
Non trattarla mai come una stupida damina di compagnia: vuol dire che non hai capito niente.
Se vuoi compagnia, prenditi un cane. Oppure iscriviti a un gruppo sociale su Facebook.
Uscire insieme è facile. Meno facile, invece, stare a casa, malgrado ogni impegno, e rimanere due ore al telefono con la voce come un phon, ad alitare un vento caldo sulle lacrime dell’amico che sta soffrendo.
Un po’ come hanno fatto il bue e l’asinello con Gesù quando era piccino.
In fondo sì, l’amicizia è un termosifone, anche se sa gelarti con la sua franchezza.
Il tradimento si perdona a una passione, ma non a un’amicizia.
L’etica, l’onestà, la libertà sono virtù che lei apprezza molto. Anche la libertà di non esserci, quando è necessario. Ma non sopporta l’egoismo. Come non ama sentirsi usata.
Lei è fatta per amare ed essere amata. Non viene dopo mariti, mogli e famiglie. Gli sta accanto, e a volte li guarda passare nella corrente del tempo. Lei resta.
Sempre che non decida, delusa, di fuggire via, e buttare anche te in quella corrente.
NON LETTERA A BABBO NATALE
Babbo Natale, quand’ero piccola ti scrivevo letterine piene di desideri, e facevo un pacco enorme dove dentro mettevo i miei giochi più belli. Un regalo a Dio, dicevo. E lo appoggiavo fuori, in balcone, sul muretto che fa da ringhiera. A volte il pacco cadeva in strada, altre invece mia madre segretamente lo recuperava e lo nascondeva. Ma io, la mattina, svegliandomi, mi allargavo tutta in un sorriso, che Dio aveva accettato il mio dono. Insomma, una specie di Babbo Natale inverso, che dalla Terra porta i doni in Cielo. I bambini sono così, delizia innocente .Poi si cresce, arrivano gli affanni, le illusioni e le delusioni, la mente ingombra e il cuore si accantuccia in un angolo, dentro noi stessi, al riparo dalle bufere esterne. Così, da grandi vediamo il Natale come l’esaltazione commerciale in cui anche noi fibrilleremo con i nostri regali ricevi/dai. Ma oggi, Babbo Natale, oggi sono cresciuta e non c’è più, in terrazzo, un dono per Dio. E, se devo essere sincera, neanche ti scriverei più una letterina. Perché avrei troppe cose da chiederti, cose importanti, urgenti, che neanche Dio riesce a risolvere e allora come fa, a farlo, un vecchio stanco con la sua fila di renne invecchiate a forza di correre su e giù nei cieli del mondo? Qui abbiamo bisogno di tante cose che, guarda un po’, non sono quelle che ci regaliamo e ti chiediamo. Abbiamo bisogno di smetterla di farci la guerra, di debellare l’indifferenza, l’odio, il razzismo. Abbiamo bisogno di crederci meno isolati l”uno dall’altro, che “nessun uomo è un’isola” come diceva J. Donne. E invece, qui, ci crediamo tutti isolotti. Sì, alla deriva. Abbiamo bisogno di non farci più rimbecillire dalla pubblicità che ci ordina cosa dobbiamo desiderare (è lei la vera complice tua, caro Babbo) e di imparare a desiderare meno. Abbiamo anche bisogno di uscire dalla follia del nostro sistema fatto di Banche e Finanze che vogliono che tu abbia il debito enorme, così secondo loro sopravvivi, e che tu debba consumare consumare consumare per esistere, mentre tutti sappiamo, dalla natura, che il consumo virtuoso non è illimitato. Ci vuole il consumo necessario. Ecco, dobbiamo imparare che significa, di nuovo, la parola “necessario”. E abbiamo bisogno di Terra. Perché oggi la compriamo dai paesi più poveri per abbattere le coltivazioni e fare commercio di mais legato alla Borsa della Malavita (e così anche le energie “bio” finiscono per rubare terra all’alimentazione). La lista è lunga, e io non sono più la stessa bambina che impacchettava doni per Dio. Ma ho nostalgia di quelle sere segrete, chiusa in camera in consultazione con lui, per capire i misteri di un cielo che non finisce mai. Come fa un cielo a non finire mai? L’infinito era vertigine e fascino nella mia testolina di bimba, spingevo il naso più su, più su, sopra le nuvole e poi ancora, ancora e ancora…e quando il vuoto mi spaventava il naso finiva spiaccicato nel ventre di mia madre, con la sua convessità dolce e rassicurante, destinazione finale di ogni ansia e paura. E non funziona più neanche quello. Oggi so che il cielo è infinito, ma l’àncora che era mia madre non mi impedisce più di salpare verso tremori ignoti. E so che tu sei un’invenzione e che sei molto legato alla Coca Cola, che se la bevo una sera mi gonfio come un pallone (forse è per questo che la tua pancia è così grande). E Dio non lo so, credo ci sia qualcosa che ognuno chiama con un nome diverso, ma non appartengo a nessuna religione che mi sento subito stretta e costretta. ma c’è una cosa, da allora, che è rimasta. La fiducia nel mondo invisibile che in qualche modo ci contiene tutti. E se, da bambina, giravo la testa di scatto per vedere finalmente l’angelo custode (che se era alle mie spalle allora se mi giravo di botto gli facevo “tana” no?) e tutti ridevano ridevano delle mie astuzie terrene per rubare un pezzo di Cielo. Oggi non giro più la testa di scatto, non lo cerco più. Ma a volte sento, dentro, un calore ne cuore che mi racconta che, dentro e fuori, c’è molto altro. Ma non ci sei tu, caro Babbo Natale della Coca Cola. E le lettere più belle, sai, sono quelle che scriviamo su un filo di
FORZA GNOCCA?
“Forza gnocca”. Grazie, Berlusconi, a nome di tutte le donne italiane. E ti ringrazio anche per essere stato il “Muso” ispiratore, mio e tuo malgrado, della nascita della Stanza di Virginia dopo l’ennesimo annus horribilis zeppo di Bunga Bunga che mi hai fatto passare. Sai, in Italia non ci sono solo gnocchette e tortelline, ci sono anche un sacco di donne che pensano, raccontano, cercano e – credimi – osano perfino sognare ancora. Difficile, nel Paese che hai fatto a brandelli. Per noi donne, poi, è stato particolarmente faticoso sopportare ogni giorno il tuo maschilismo sempre più gretto (scopare le donne non vuol dire amare le donne, te lo ricordo bene), il tuo fare da vitellone sempre a caccia di sederi e tette da comprare, le tue barzellettine da baretto di quartiere. Sì, certo, mi fai anche pena, costretto a un sogno prezzolato che ti costa case, denaro e… avvocati. Perché le donne le devi pagare. Mi fanno pena anche loro, un po’. E mi fanno rabbia, tanta rabbia, per l’immagine del femminile che diffondono e mantengono viva. Ma, del resto, fanno il mestiere più antico del mondo. E tuttavia, tuttavia queste moderne cortigiane sono ancora più squallide, perché in questo mondo sempre più futile anche i motivi della “prostituzione” (chiamiamola, per favore, con il suo nome) sono spesso sempre più futili. Ci si vende per andare in tv, per fare una particina interdentale in uno di quei filmetti stupidi che rovinano il nostro bel cinema, ci si immola a un vecchio fatiscente come te per un gioiello di Chanel e per una villa. Ma, tu, caro Presidente, hai contribuito, in questi pietosi diciassette anni, a svilirci perchè se fra le lenzuola private puoi fare come ti pare, come Premier sei chiamato a rappresentarci attraverso un’immagine rispettabile. Non mi dilungo, qui, a spiegaredi nuovo le ragioni che altrove i miei colleghi giornalisti hanno spiegato così bene. Ti dico solo che, come donna, mi sento profondamente offesa.
Non siamo tutte come le tue Ruby. Te lo ripeto, in Italia ci sono donne che sanno cosa siano la dignità, il rispetto, il coraggio. Donne che danno ancora peso e valore a termini scippati del loro significato. Donne che tirano avanti fra casa e lavoro, che allevano figli mentre lavorano tutti i santi, santissimi giorni. Donne che leggono, scrivono, vanno al cinema (escludi, per piacere, i fratelli Vanzina, e dammi retta: guardano altro). Che cercano di dare senso e significato ai sentimenti e alle relazioni. Donne che si impegnano. Che cercano una politica più seria, meno arraffona, schifosa e puerile. Donne a cui la lobotomia del denaro facile non interessa se questo significa vendere il loro corpo al “Potere” (che si sarà mai di potente, poi, nel tuo sederino flaccido e nella tua pancetta scaduta? non è triste, pensare che il Potere sia soltanto Denaro?). Sono meno visibili, forse. Ma non per questo meno numerose e importanti delle tue Lolitine. Non finiranno a fare le letterine, e neanche le veline. Non avranno una villa all’Olgiata e neppure una pelliccia di Fendi. Ma saranno sempre fiere, orgogliose. Potranno andare a letto solo con chi amano, pensa che bello. E stare bene anche da sole. Senza chiedere a niente e a nessuno. Queste donne, caro Presidente, sono un esercito silenzioso che invece di urlare e apparire cerca di fare, e cerca ogni giorno di essere una prova vivente del fatto che si può essere diverse da quelle macchiette femminili che da anni un certo carnaio mass mediatico ci propina ventiquattro ore su ventiquattro.
Donne umiliate ogni giorno dagli omuncoli come te, che tra una barzelletta e una palpatina si sentono “maschi”. E che invece sono solo ridicoli. Terribilmente ridicoli.
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