Ho sempre amato Virginia Woolf. L'ho amata in ogni sua parola, concetto, espressione. Ne ho amato il tremolìo, la forza, il volo.

Mi ha consegnato numerosi tesori, fra cui le sue pagine sulle parole. Le conservo sempre nel cuore, come un segreto.

Mi piace condividere, qui, un brano meraviglioso in cui vibra, sensuale e malinconica, penetrante e tagliente, la Virginia fatta di pelle e di testa, in un reciproco scambio fatto di tante "battaglie" senza vinti né vincitori.

 

“Sono le parole le vere colpevoli. Sono fra le cose più indisciplinate, più

libere, più irresponsabili e più riluttanti a lasciarsi insegnare. Certo,

possiamo sempre prenderle, suddividerle e metterle in ordine

alfabetico nei dizionari. Ma le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente. Se ne volete una prova, pensate a quante volte, nei momenti di maggiore emozione, vi capita di non trovarne nessuna quando più ne

avreste bisogno. Eppure il dizionario esiste; e lì, a vostra disposizione, ci sono mezzo milione di parole tutte in ordine alfabetico. Ma potete davvero usarle?

No, perché le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente. (…) La questione è solo quella di trovare le parole giuste e di metterle nell'ordine

giusto. Ma non possiamo farlo perché esse non vivono nei dizionari, vivono nella mente. E come vivono nella mente? Nei modi più strani, non molto

diversamente dagli esseri umani; vagando qua e là, innamorandosi e accoppiandosi. È indubbio che siano molto meno limitate di noi dalle convenzioni e dai cerimoniali. Parole regali possono permettersi di accoppiarsi con le più comuni. Parole inglesi sposano parole francesi, tedesche, indiane, e dicolore se gli salta in mente di farlo. (…) Per questo, imporre regole a tali impenitenti vagabonde è del tutto inutile. Le poche regole di grammatica e diortografia esistenti sono le uniche restrizioni che potremmo imporre loro.

Al massimo possiamo dire loro – man mano che le spiamo dal profondolimite della caverna scura e male illuminata in cui vivono – che sembranopreferire la gente che sente e che pensa prima di usarle, ma non deve essere gente che sente e pensa a loro, ma a qualcosa di diverso. Perché sono moltosensibili, e si sentono facilmente a disagio. Non amano che si discuta della loro purezza o della loro impurità. (…) E non amano essere sollevate inpunta di penna ed esaminate una per una. Restano sempre unite in frasi, in paragrafi, e a volte per intere pagine di fila. Odiano essere utili; odiano dover far soldi; odiano andare in giro a tenere conferenze. In breve, odiano qualsiasi cosa impongaloro un unico significato, o che le immobilizzi in un'unica posa, perché cambiare fa parte della loro natura. E forse è proprio questa la loro caratteristica più sorprendente: il bisogno di cambiare."