L’ho capito fino in fondo proprio qui, a Tangeri, nello spazio bianco di un mattino di vento.

Funzionano, le parole, solo quando ci arrendiamo, quando smettiamo di pretenderle. Loro viaggiano sulle frequenze, sono un suono. Hanno un peso, una direzione. Ho sempre suggerito ai miei allievi dei corsi di editoria e scrittura di considerare le parole come una partitura musicale, di leggerle come si legge un brano ad alta voce, sviluppando una sorta di orecchio assoluto.

Sì, vanno ascoltate, le parole. Producono armonie e disarmonie, come la musica. La musica delle parole fa di noi i direttori di un’orchestra anarchica in cui sono loro a scegliere noi, e a guidarci. Penso agli esperimenti di Masaru Emoto, lo scienziato giapponese che scriveva le frasi sui foglietti che appiccicava a bottiglie d’acqua che venivano poi esaminate al microscopio: i cristalli che si formavano disegnavano geometrie molto diverse tra loro a seconda della “qualità vibrazionale” delle parole. Parole d’amore generavo cristalli armonici, parole di odio e disprezzo davano vita a geometrie disarmoniche, che risuonavano con il tipo di energia liberata. Sì, perché la parola è energia. Una forma di energia molto potente.

Non è solo l’”abracadabra” dei maghi o la parola segreta degli iniziati spirituali, la parola è madre di ogni generazione nella materia. In principio era il verbo.

E il verbo è suono.

Non a caso nelle Vie dei canti gli aborigeni australiani narrano la creazione del mondo attraverso il nominarlo. Il nome è padre, il nome è madre. La parola dunque è molto potente, può essere risorsa o trappola, cibo che sfama o coltello che uccide. L’uomo lo sa bene, ne ha sempre fatto uso. Ecco perché dobbiamo avvicinare le parole con rispetto e umiltà. Attendere, avere pazienza, come nella leggenda della tribù Hopi in cui un indiano in cammino si ferma e rallenta per attendere la sua anima.

Le cose belle, le cose preziose hanno bisogno della qualità del tempo. Quel tempo che oggi ci sfugge, immersi drammaticamente in una società velocissima che sceglie l’intelligenza artificiale prima ancora di aver imparato bene a usare quella “fisiologica e naturale”. Ecco,  le parole ripagano chi è consapevole della preziosità del tempo, della pazienza. Se le parole sono musica, dobbiamo trovare gli accordi. E sapremo “intonarle” in sintonia con la nostra ispirazione. 

Scrivere è sempre un fuoco, una febbre.  Ẻ attrito che genera una scintilla. A volte sembra quasi una malattia. Una malattia di cui non voglio la cura.