Voilà. Mi sono fatta male praticando yoga. La settimana scorsa ho esagerato con i ponti, quegli stessi, famosi ponti che tutti facevamo da piccoli ma che abbiamo smesso insieme alla mobilità tipica dell’infanzia. Solo che io non sono più tanto piccola, ho quarant’anni suonati.

E dunque è richiesta una certa "attenzione". E invece mi sono infiammata la zona lombo-sacrale per…esagerazioni.

Stavo riflettendo, stamani, su come lo yoga insegni a rispettare i propri limiti. E’ una pratica che richiede pazienza e prudenza, due virtù a me sconosciute.

Dunque la lezione vera, per me, sarà non fare i miei esercizi quotidiani per almeno una settimana.

A volte la non pratica è più importante della pratica, se sappiamo imparare (cosa che, per quanto mi riguarda, avviene sempre fra mille inciampi).

Mi capita, qui sul blog, di ricorrere allo yoga perché per me è simbolo di molte cose.

Insegna a respirare, a radicarsi sul terreno per poi cercare di tendere verso il cielo, quel cielo a volte così immemore della nostra presenza, persi come siamo fra le faccende dle mondo. Insegna anche a conoscere il rapporto fra la mente e il corpo (un rapporto spesso conflittuale), a cercare il Sé fra gli ostacoli dei nostri Io (veri e propri condomini, con tanto di costruzioni abusive, per tornare all’ultimo post).

Imparare a conoscere i limiti è uno dei fondamenti.

Io, invece, ho tentato di superarli, ebbra delle mie capacità di mobilizzare la schiena che, per protesta, si è fermata.

Cercherò di farne tesoro.

La vera pratica dello yoga, per me, non è tanto quella con la mia maestra, dalla quale certamente imparo e assimilo, ma è quella che faccio a casa, la sera, da sola.

Io con me stessa.

E’ un momento di libertà, uno spazio interiore che si fa anche fisico. E’ quella "stanza tutta per sé" di cui parlava la Woolf.

Nella posizione del guerriero misuro la mia resistenza, nella candela i piedi puntano il cielo, in shirshasana inverto la solita visione del mondo, con la posizione del cane cerco di estendermi stiracchiando non solo i muscoli ma tutta me stessa, nella mia coscienza del corpo.

Insomma, è il mio luogo, il mio appuntamento quotidiano alla ricerca di un’unione che trascenda le solite frammentazioni dell’essere.

Ed è vero, il fisico è solo un trampolino, un arcobaleno lanciato su un mondo man mano più sottile.

Ma ci vuole tanto impegno e, come dicevo, tanta prudenza.

Ora me ne sto qui, acciaccata e dolorante, a riflettere sul mio buttarmi, sempre, incapace di valutare i rischi.

Bella, questa lezione.