Mi hanno prescritto una cura particolare: "la passeggiata dell’ignoranza".

"Figliola – mi ha detto il mio medico, un omeopata centenario che gode di ottima salute – lei deve assolutamente prendersi cura di sè. Le prescrivo la passeggiata dell’ignoranza, un’ora al giorno".

Mi ha spiegato che gli antichi la chiamavano così. Una passeggiata senza meta, né pensieri martellanti.

In fondo, somiglia tanto a una meditazione, a un ristoro dell’anima che apre le ali e si distende un poco sotto il suo cielo.

In questo mondo ossessivo, urlato, pieno di nevrosi individuali e collettive, la passeggiata dell’ignoranza è un ritorno…all’antica sapienza.

Viviamo nella cultura del fare. Produco ergo sum.

Sono dunque consumo.

E via così, nello sciame quotidiano che oscura paesaggi e città con i suoi moti epilettici.

L’andare senza meta fa invece bene. Perché non avere meta è la meta più ambita, come sa chi cerca una profonda vita interiore.

In quei momenti è forse possibile sfiorare il presente, infilarcisi dentro  fra una memoria passata e un pensiero futuro.

E penso a quante mete sbagliate, a quante griglie prestabilite che ci intrappolano nel nostro tran tran.

Da questa giostra, io cerco (invano) di scendere, perciò il consiglio del vecchissimo, saggio medico mi ha molto affascinato, richiamando alla mente le passeggiate senza direzione e senza scopo che mi regalo soprattutto d’estate, tornando alla cittadina natale.

Camminare è terapeutico, ma farlo seguendo una prescrizione medica è davvero fantastico.

Ai miei "Se…" "Ma.." "Non ho tempo tutti i giorni…" "Il lavoro.." lui ha risposto, categorico: "Passeggiata dell’ignoranza".

E mi ha fregato.

Sì, perché conosco le virtù dell’antica sapienza, il suo "sapere di non sapere" che ha acceso scintille nelle culture di tutto il mondo.

Abbandonare la presa senza pretendere di schedare, dirigere, organizzare, è la cura migliore nei momenti difficili.

Anche la più difficile, probabilmente.

Ma io ho deciso di camminare. Cercando di scordare quello che so.