Siamo figli dell’epoca,

l’epoca è politica.

 

Tutte le tue, nostre, vostre

faccende diurne, notturne

sono faccende politiche.

 

Che ti piaccia o no,

i tuoi geni hanno un passato politico,

la tua pelle ha una sfumatura politica,

i tuoi occhi un aspetto politico.

 

Ciò di cui parli ha una risonanza,

ciò di cui taci ha una valenza

in un modo o nell’altro politica.

 

Perfino per campi, per boschi

fai passi politici

su uno sfondo politico.

 

Anche le poesie apolitiche sono politiche,

e in alto brilla la luna,

cosa non più lunare.

Essere o non essere, questo è il problema.

Quale problema, rispondi sul tema.

Problema politico.

 

Non devi neppure essere una creatura umana

per acquistare un significato politico.

Basta che tu sia petrolio,

mangime arricchito o materiale riciclabile.

O anche il tavolo delle trattative, sulla cui forma si è disputato per mesi:

se negoziare sulla vita e la morte

intorno a uno rotondo o quadrato.

 

Intanto la gente moriva,

gli animali crepavano,

le case bruciavano

e i campi inselvatichivano

come nelle epoche remote

e meno politiche.

 

(Szymborska, Gente sul ponte)

 

 

 

 

 

 

 

Non c’è niente da fare. Non si può sfuggire al fatto che ogni cosa sia anche politica. Si può non votare, evitare di scegliere un partito, schivare giornali e trasmissioni televisive, rintanarsi nella grotta della Sibilla, ma la politica è sempre lì.

In ogni gesto, ogni pensiero, ogni parola. Illudersi di esserne immuni significa cadere in un tranello magnifico.

D’accordo, non ci piace, questa politica. Non assomiglia neanche un po’ agli ideali luminosi della Repubblica sognata da Platone e da altri filosofi che nelle epoche hanno provato a tracciare una strada, un’etica, un percorso in cui gli esseri umani potessero, accidenti, diventare meno lupi e più uomini.

Diciamo, anzi, che forse mai come in questo vagito del nuovo millennio, e nell’estrema unzione di quello appena defunto, la politica ha scoraggiato chi crede nella possibilità di un mondo governato dalla giustizia e dalla libertà, al di là della cortina prodotta da una democrazia molte volte illusoria (ma questa è un’altra storia, complicata, ci torneremo un’altra volta).

 

Però non possiamo fuggire, ficcare la testa sotto il cemento delle nostre metropoli per non vedere che là fuori, e intorno a noi, muore il sogno, la possibilità di un futuro per i nostri figli, l’adesione a una realtà finalmente emancipata da quel maledetto anello di potere che corrompe ogni pezzettino d’oro sparso qua e là.

Anche non votare è un gesto politico. Come politico è ignorare ogni fatto politico.

Pia illusione, quella di non volersi "sporcare le mani" con gli intrighi di Palazzacci, i naufragi nei Translatlatici, i triangoli tra politica, economia e informazione.

Molti si rivolgono all’arte, ai libri, alle meditazioni, coltivando nobili virtù mentre però altrove, nel mondo, prosegue l’olocausto dell’etica, avanzano gli stermini del diritto (e del dovere, ricordiamocelo bene) e della solidarietà fra esseri umani.

Non partecipare è una resistenza assai blanda. Sembra un po’ quella degli ignavi di Dante.

E tuttavia va bene anche questa, a patto che si dica la verità. E cioè che ce ne stiamo lavando le mani. Certo, "turarsi il naso" per tuffarsi nelle puzze della politica non è uno sport lusinghiero. Ma è necessario. Perché di fatto ogni atto è comunque, ripeto, un gesto politico.

Non si scappa dal mondo. Solo gli eremiti reali, non quelli immaginari, in fuga da sé e dalle proprie nevrosi, sono forse capaci di una "politica" superiore, quella di un regno celeste.

 

Ma per gli altri (Chiesa inclusa) la vita è politica. Dunque occorre schierarsi. "Estensione del dominio e della lotta" oppure tentativo di virare prima che il Titanic raggiunga l’ iceberg?

Nel "meno peggio" dobbiamo trovare la forza di fare una resistenza. Così come ogni giorno, la nostra polica personalissima, quella che si sovrappone e si mescola alle macro-politiche dei nostri sistemi, influenza e condiziona chi ci sta accanto.

Ma non basta, questa nostra politica,  se la disinneschiamo da una partecipazione più ampia e, soprattutto, se crediamo così di evitare quella cosa schifosa (sì, in gran parte lo è ) che è la politica dei governi, delle istituzioni, dei popoli.

Qualcuno mi parlava, recentemente, del fatto che ci sono solo due modi di affrontare il potere: usarlo oppure esserne usati.

Così questa persona ha scelto di diminuire i "gradini" di potere che possono influenzarla, condizionarla, appropriandosene e cercando di usarli per ottenere più libertà.

Perfetto. Non fa una piega.

Purtroppo la vita è lotta, è scelta continua, schieramento. Anche nello scegliere, ogni giorno, fra Bene e Male, l’uomo è costretto a non abbandonare mai la sua arena.

 

Dunque ripararsi un un aureo castello al di fuori delle cose del mondo (che sono cose politiche, sempre nell’accezione offerta anche da quel genio scintillante della Szymborska), ignorando i fatti "là fuori" e i gruppi che prendono posizioni, serve piuttosto ad ammantarsi di stelle che però somigliano, guarda un po’, alle patacche che si appendono sulle divise di poliziotti e marinai.

Insomma, per quanto difficile, il balugìnio di questo mondo richiede presenza, coraggio. Consapevolezza dell’importanza di essere ma anche di essere, allo stesso modo, inseriti in una Terra vibrante in cui ogni nostra scelta, perfino la più stupida, insignificante, ha un colore politico.

Possiamo fingere che non sia così. Ma appesantiremmo di più il già spesso velo di Maya. Che a volte sembra davvero una coltre.