Stamani mi sono svegliata qui, a Senigallia, nella mia casetta vicino al mare. E ho pensato che, malgrado anni vissuti in città, quel profumo particolare non si dimentica. Te lo porti addosso, come una memoria cucita nel cuore.

Ti manca, in città, davanti a quelle sentinelle d’acciaio e cemento.

L’assenza del mare è assenza di Acqua, di sale, di orizzonti smarriti nei pastelli dei cieli.

"Gente di mare", si dice. Ha un senso.

Non è forse poi così diversa dagli altri, la "gente di mare".

Ha solo l’abitudine delle notti che pizzicano sulla pelle, dei pescatori di telline che salutano l’alba nei loro stivaloni di mare, delle serate appesi su uno scoglio ad ascoltare il racconto di un’onda.

Conosce i moti selvaggi del mare, conosce i suoi scuotimenti quando si arrabbia e prende tutto, risucchia cose e persone ostinandosi a non restituirle se non dopo tempo, quando la foga di Nettuno, placata, permetterà alle acque di specchiare nuovamente i riflessi del giorno.

Il mare mi vuole bene. Sa che anche se me ne sono andata in città non lo dimentico. Mi è compagno, amico, fratello. Segue le orme dei miei respiri per ricordarmi, nella tristezza, il continuo andare e venire delle sue onde, che arrivano e scompaiono, come le cose della vita.

Il mare mi accarezza anche d’inverno, nei colori freddi della metropoli. Mi insegue con la memoria di un bisbiglio, di un’impronta nella sabbia sussurrata dal vento.

Ogni anno torno qui. Metto i piedini nell’acqua, inseguo il profilo dell’orizzonte. E mi ritrovo.