Stamattina stavo conversando con un caro amico al quale sono legata da un rapporto di stima umana e professionale.

Si parlava del lavoro, della vita, dei progetti e dei sogni.

Lui a un certo punto ha citato una frase del film Gli Spostati per affermare come in certi casi, nella vita, sia meglio non agire. Perché magari, per uscire da situazioni difficoltose, si fa peggio, aggravando ciò che già risulta complesso.

Ha ragione, l’ho sempre sostenuto anche io. Ne discutevamo, stamani, e mentre parlavamo vedevo davanti a me l’immagine della ragnatela.

E ho pensato a noi uomini, povere mosche impigliate nella rete. La rete.

Viviamo in una rete complessa di relazioni e di intrecci (di cui internet è il simbolo tecnologico, moderno, di un sistema in realtà già affrontato dagli antichi). E, come accade alla povera mosca, nella rete a volte rimaniamo impigliati.

La ragnatela è terribile. Più la mosca, nevrastenica, si agita per liberarsi, più si stringe la morsa, più la prigione serra per sempre la possibilità di salvezza.

E così capita a noi.

Noi, come mosche, nelle situazioni difficili dovremmo "non fare".

A questo proposito ho trascorso molte serate a discutere insieme a un’altra persona, molto cara, intorno a questo argomento.

In momenti difficili, "fare poco, fare bene", dioce sempre.

A volte non fare neppure.

Difficilissimo. Intrappolati nella rete dei nostri problemi, come mosche siamo invasi dal panico, lottiamo, agiamo, ci dimeniamo stringendo sempre di più i fili fatali.

Ci vuole saggezza, a non muoversi nei momenti di crisi.

La "pancia" e la "testa" cercano vie d’uscita, stategie organizzate (male, in questi casi) o moti viscerali improvvisi, imprevisti, a seconda della loro natura.

A volte entrano addirittura in conflitto, e allora la rete si fa più straziante, più lacerante.

In quei momenti l’immobilità diventa disperata, dolente. Eppure è un’azione.

Forse l’unica azione possibile.