Sul film di Moretti si è detto tanto. Sul libro di Veronesi, pure.

Mi interessa solo appuntare qui la mia emozione nel ritrovare, al cinema, questa storia così affascinante, così assurda da essere vera.

Se un padre dopo un lutto parcheggia sé stesso fuori dalla scuola di sua figlia, ogni giorno, per stare lì, immobile, a oservare il brulichìo di persone affaccendate, prese dalla loro quotidianità fatta di riti, di grandi o piccoli appuntamenti, se un padre, dicevo, fa questo, in realtà compie un solo, eloquente gesto: cambia prospettiva.

Ed è quella prospettiva, accidenti, che non riusciamo spesso a cambiare.

Non troviamo la nostra panchina.

E il mondo, il nostro, non cambia mai.

Immersi nella corrente delle nostre giornate che inseguono il "fare", nuotiamo contro l’acqua, accaniti, risalendo correnti contrarie, ansimando sull’esistenza sempre tesa a rincorrere un obiettivo che altri hanno segnato per noi (ma che noi, ingenui, crediamo nostro).

Sulla panchina, invece, il mondo cambia. Si inverte, si capovolge, mostra spetti segreti svelati solo a occhi rallentati, privi di meta.

Dovremmo tutti cercare la nostra panchina.

Cercare quel luogo sospeso, proteso senza ansie sul mondo, testimone delle azioni di altri, delle storie affannate, a volte belle, a volte terribili.

Ecco allora che le correnti cessano e il mare tumultuoso si trasforma in laghetto. E in questo laghetto specchiamo – e misuriamo – noi stessi.

Intorno, l’umanità convulsa agita affanni e successi mentre noi vediamo invece racconti, storie i cui protagonisti, gli uomini, si spogliano delle loro strutture e mostrano quel trattino di carne vibrante, essenziale.

Il mondo dalla panchina cambia forme e colori.

Si fa più poroso ma allo stesso tempo leggero, pieno di pulviscoli che danzano al ritmo del sole e del vento, delle ore sfuggite alla fretta, della relazione con l’altro incontrato senza cornice, privo di quegli schemi che indossiamo al mattino.

Già, dalla panchina le finzioni sembrano meno finzioni.

E forse, a volte, per sostare e sederci non abbiamo bisogno di un lutto, come accade a Paladini.

Abbiamo solo bisogno di trovare la forza di uscire per entrare davvero.