Chiudiamo l’anno raccontando una leggenda bellissima narrata nel libro Il mulino di Amleto di Giorgio De Santillana.

Non a caso questo blog si ispira proprio alle suggestioni di alcune narrazioni mitologiche che attraversano il tempo e che "parlano" all’uomo ancora oggi, malgrado la società moderna non sia più in grado di recepire coscientemente gli archetipi eterni di cui siamo intessuti.

La leggenda del mulino, dicevamo.

Moltissimo tempo fa, in un’era lontana, le popolazioni scandinave di Amlodi erano governate dal re Fròdi, proprietario di un mulino favoloso dalla cui macina uscivano pace e abbonadanza.

Nessun uomo poteva muovere il mulino magico, ad eccezione di due fanciulle giganti, Fenja e Menja, reclutate dal Re.

Chi conosce l’universo del mito, o gravita comunque intorno alle orbite dei classici, non faticherà a riconoscervi l’Età dell’Oro di cui parla Esiodo.

Un periodo aureo, appunto, in cui l’uomo non aveva ancora conosciuto la guerra, la fame, le carestie.

Si trattava di un Tempo circolare governato da Saturno, dio austero ma anche primordiale, connesso alla non moltiplicazione dell’essere (qui pensiamo a una frase magnifica e terribile di Borges, certamente cara ai lettori che ne conoscono la vertigine filosofica: "detesto gli specchi e la copula, perché entrambi moltiplicano l’uomo").

Potremmo dire che l’uomo viveva ancora l’alba dei giorni, prima che il tempo fosse.

A un certo punto, però, iniziò un periodo di decandenza.

Ogni leggenda ha le sue varianti, anche questa.

Alcune, come quella di Snorri,  narrano della crescente avidità del Re, punito dalla profezia delle mugnaie giganti.

Il mulino inziò a macinare sale. E il re fu ucciso da "un’improvvisa schiera di armati" sbucati fuori all’improvviso.

Mysingr, che aveva fatto uccidere il Re, ne prese il posto caricando su una nave anche le due gigantesse, che continuavano a macinare attendendo che uscisse di nuovo l’oro, e non più il sale.

Ma il mulino cadde in fondo al mare, e nel suo macinare rocce e sabbia creò un gorgo vastissimo, spaventoso, chiamato il Maelstrom ("la corrente che macina").

"E da allora c’è nel mare un gorgo dove l’acqua precipita dentro il foro della macina. Fu così che il mare divenne salato"

In realtà il mulino è anche un’affascinante metafora. E’ rotazione e cielo allo stesso tempo, il cui perno è fissato nella Stella Polare.

Questa stessa leggenda vive nelle storie di moltissimi popoli antichi. Ha solo diversi nomi. Si traveste, cammina attraverso la curva del globo, striscia nelle foreste congiungendo le punte degli alberi dell’Amazzonia con quelle dell’Asia.

Sempre, nel mondo antico, si racconta la storia di un ordine universale improvvisamente corrotto, spezzato.

L’Axis Mundi si spezza, la spada di Artù si inclina.

L’armonia viene interrotta mentre l’unità con il cosmo inizia a vacillare.

Senza addentrarci negli abissi simbolici che derivano da questa leggenda, non possiamo fare a meno di notare, in questo tramonto dell’anno, come il mulino, dal fondo del mare, continui a "soffiare" sul maestrom il cui gorgo diventa sempre più grande, più minaccioso.

Se questa mattina un presidente americano, che vanta la democrazia migliore di ogni mondo possibile, si entusiasma davanti al nemico che ha fatto ammazzare (lavandosi le mani come Pilato, certamente) e, per quanto quel nemico fosse esecrabile, non guarda in faccia nè l’umana pietà nè l’ennesimo danno che questa vendetta gratuita arreca al futuro mondiale, beh, allora il Maelstrom rischia, un giorno o l’altro, di risucchiarci.

Non c’è ombra di fazione politica, in questa riflessione. La vita non è di destra nè di sinistra, appartiene a tutti. E vale per tutti, ma proprio tutti.

Del resto, il mulino che giace in fondo al mare non fabbrica più oro da tanto, tantissimo tempo.

Ed è ora che ci accorgiamo del turbine provocato da questo gorgo infernale.