Se gli Argonauti cercavano il Vello D’Oro, gli psiconauti, alla ricerca del Vello Ebbro, oggi affollano gli smart shops. Si chiamano così i negozi "furbetti", letteralmente, che dall’America stanno arrivando anche in Europa.

Finita l’era dei pusher, delle squallide perlustrazioni notturne in "piazza", alla ricerca del pezzo di hascisch o delle pasticche, oggi si fa la spesa  negli smart shops, dall’aria ecologica,  che forniscono una serie di droghe naturali ai limiti della legalità.

Ecco allora che si può fare un trip fumando la salvia divinorum (peccato che il basilico non funzioni altrettanto bene, quello lo abbiamo tutti, in casa) o masticando foglie di betel. Oppure, ancora, estrarre la mescalina dai funghi di San Pedro.

Il bello è che si sono ispirati allo Stato, che mentre ci vende le sigarette ci avverte anche, in pratica, che ci sta ammazzando: i negozietti in questione propongono il fai da te per la coltivazione della marjiuana, mentre un cartellino recita di fianco ai semi: "ricordatevi che coltivare marjiuana è un reato".

Ora, non sarà certo una canna a fare di noi dei drogati. In fondo chi di noi non si è fatto qualche spipazzata almeno una volta? Magari colpito da Baudelaire, Kerouac o Castaneda? Magari in qualche amena serata giovanilistica, passata fra brufoli e alcol?

Certamente un "sano" ritorno alla natura è meglio delle droghe chimiche che continuano a infestare discoteche e locali.

 

 

 

Il problema, però, sono le dosi. Perché se il negozio è smart, magari chi acquista queste erbette magiche non lo è altrettanto. Magari è un deficiente.

Tra l’altro, diciamocelo, viviamo nell’era dei consumi in eccesso. Facile, quindi, abusare di qualche innocua fogliolina e farsi un sacco di male.

Il problema è che una volta, almeno, alcuni popoli usavano le droghe con una funzione rituale, sacrale. Come gli indiani d’America. Loro fumavano il calumet e prendevano funghi, ma occasionalmente e con un intento particolare, spirituale. E infatti con l’alcool fornito abilmente dagli "yankees" si rincoglionirono.

I poeti maledetti bevevano l’assenzio, la "fata verde", come lo chiamavano, per trarre ispirazione nell’arte. E già qui scivoliamo però già nell’abuso, nell’eccesso.

Quelli di Woodstock se non altro vivevano, nella loro illusione, il romanticismo di una ribellione, una rivoluzione verso un mondo che volevano cambiare.

Oggi, gli ex hippies che non lavorano in banca sono migrati verso qualche remoto paesino asiatico, o vivono come disadattati nella società che non hanno potuto cambiare.
Oggi, invece, persa ogni funzione sacrale, smarrito ogni addobbo romantico, ogni idealizzazione, rimangono i ragazzini che si "calano" allegramente le pasticche chimiche nel frastuono di una discoteca o in mezzo a un rave campestre.

Molto prosaico, senza nessuna funzione sacrale, nè nessuna voglia di espandere la propria coscienza (con buona pace di Timothy Leary e di Aldous Huxley) e neppure cambiare un mondo che offre troppe comodità. Insomma, lo sballo per lo sballo. Nessuno scopo artistico o tardo romantico.

 

La via di fuga dal mondo smette travestimenti o intenti diversi e diventa ciò che è. Stavolta, peraltro, vanno per la maggiore le pilloline che provocano solo balzi adrenalici per ballare più gasati e, probabilmente, scopare con più verve. Ma, anche qui, nessun aspetto sociale contro cui ribellarsi. Com’è demodè, oggi, Baudelaire, in quel fumoso caffè parigino, a versarsi l’assenzio per navigare nei suoi fiori del male insieme al lettore, "mon semblable, mon frère"…