La vita, insomma, è molto solida o molto instabile?

Sono ossessionata da questa contraddizione. Dura da sempre, durerà sempre, affonda giù fino alle radici del mondo, quest’attimo in cui vivo. Ed è anche transitorio, fuggevole, diafano.

Passerò come una nuvola sulle onde.

 

(Virginia Woolf, Diario di una scrittrice)

 

 Se l’esistenza di Virginia è passata come una nuvola sulle onde, le sue parole si sono invece fissate sulla carta per sempre.

Sono lì, a nostra disposizione. Meravigliose parole che raccontano storie (nelle quali lei rifletteva parti di sè, che avevano il suo nome, le sue paure, i suoi desideri), si fanno inchiostro per dare corpo a riflessioni mai stupide, mai banali.

Donna intelligente, Virginia. Troppo. E fragile, fragilissima. Quando la depressione la aggrediva sbatteva le sue ali di dolore tutto intorno, come una farfalla davanti alla luce della lampada.

Ma è proprio dalla consapevolezza di questa meravigliosa, terrifica precarietà che spuntò il faro (già, il faro) luminoso che guidava la sua scrittura nei sentieri tortuosi dell’anima.

Un’anima complessa, la sua, appoggiata su una fragilità estrema in cui però lei osava guardare l’abisso profondo di sè.

Ci entrava dentro fino a soffocare, talvolta. La sensibilità si tendeva fino agli estremi dell’universo mentre la pelle respirava dolore.

Ma non fuggiva.

Si attardava in quell’abisso in cui incontrava i mostri ma attingeva anche ai tesori. 

Laggiù, dentro di sé, la vita perdeva consistenza e diventava quell’alone luminoso di cui più volte parlò.

E tuttavia senza consistenza non c’è più Terra, solidità. Volare o precipitare dipendono solo dalla forza di sopportare la visione di sè.

Virginia volò. E poi precipitò. Affogò. Scelse di affogare. E magari passò sulle teste degli uomini che invano la cercavano, quel giorno, nel fiume. Invisibile, finalmente libera, passò come una nuvola sulle onde.