La famiglia allagata. Non è un refuso. È  la condizione attuale della  modernissima famiglia allargata. Siamo arrivati a toccare i minimi storici della decenza. Ci siamo arrivati davvero. Ci siamo arrivati dopo le rivendicazioni delle coppie gay (liberissime di amarsi, per carità, è un diritto che spetta loro; ma un figlio è un altro paio di maniche…il mammo o la babba  in tandem possono causare smottamenti in un bambino - e non c’è bisogno di scomodare Lapalisse Crepet per capirlo –  dopo le nonne ultrasessantenni che partoriscono il figlio degli antenati, dopo i figli surgelati in cubetti, dopo le banche del seme autenticato, dopo le famiglie degli ex che più ex non si può (affittiamo un caravan?), il peggio era ancora in agguato. Ma ci siamo impegnati e ce l’abbiamo fatta, a superare quella linea, già fragilissima. Ce l’abbiamo fatta.

 Lo scopri sfogliando un giornale in cui ti imbatti nell’articolo che parla di Jennie Withers, splendida quarantunenne inglese che decide pubblicamente di cercare un socio in affari. Fin qui, nulla di strano. Ma indovina, indovina qual è l’affare in questione? Un prodotto all’ultima moda, un bene di consumo di prima necessità. Un bambino.

 

Contentissima della sua geniale trovata, sull’Observer Magazine lei cerca il socio-papà per fare l’affare del secolo. Lancia l’offerta. Prego, avanti il migliore.

In fondo Jennie sa cucinare, ha finito l’analisi senza strozzare sua madre, ha chiuso con le storielle veloci veloci e con quelle, lunghe lunghe, agonizzanti.

Insomma, ora si vuole bene, si è “ricostruita”, ha un lavoro, le stanno simpatici i bambini e ha deciso che deve essere mamma. Perché no?

“Mi piacerebbe essere incinta di qui a un anno. Amo tenere i bambini fra le braccia, annusarli (beh, auguriamoci che non sia una feticista alla Suskind). Domenica mattina ero al bar con un’amica e ci siamo dette: “Non può essere così difficile, no?”.

No che non è difficile, cara la mia Jennie. Ma non ti accontenti, vuoi addirittura il socio: “Credo che  un figlio debba essere una joint venture, quindi non voglio ricorrere a un donatore”. Parole tue.

Beh, il marketing aziendale in famiglia finora si era fermato ai conti della spesa, non avevamo mai pensato…alla fornitura, alla produzione “in casa”, con il controllo della materia prima affidato a una società, non a una ditta individuale (come quella delle single si stanno battendo per le adozioni).

Non interessa, a Jenny, che sia gay oppure etero, libero o in coppia (della serie ndo cojo cojo…). L’importante è che dia un supporto finanziario “e abiti nei paraggi”.

Possiamo anche stare tranquilli perché si farà supportare dallo psicoterapeuta in questa avventura da Telefono Azzurro.

Ma siamo matti?? Piantiamola con la certificazione sociale dell’egoismo. I bambini sono doveri, non sono diritti. La famiglia nucleare – oggi praticamente smantellata – non era una bomba a orologeria ma un luogo, pieno di difetti e contraddizioni, che cementava i legami, dava valori, forniva una bussola.

E va bene, va bene modificare i costumi (o meglio, i consumi) ma c’è un limite. C’è un limite a tutto.

Spero che la tua società non finisca quotata in borsa, cara Jennie. Anzi, spero che il notaio il giorno della stipulazione scappi sul Kilimangiaro con la sua amante. Che il tuo socio trovi una società più salutare. Che il tuo psicologo vada in terapia. Spero, cara Jennie, che tu ti renda conto di aver ricostruito te stessa senza aver prima smantellato bene le vecchie fondamenta. Quelle su cui poggia il tuo robusto egoismo.