Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).

Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 16 dicembre 1969.

Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti autori materiali delle stragi più recenti.

Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di stato) a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine a criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione, antifascista).

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operittisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le sucide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.

Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.

Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica la dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.

(Pier Paolo Pasolini, estratto dall’intervento sul Corriere della Sera, 14 novembre 1974)

 


Anche qui, poco da aggiungere. Impossibile non trattenere quel brivido che corre lungo la spina dorsale. Perché di spina dorsale, di midollo, ne aveva da vendere, Pasolini.

E perché la sua  "disperata vitalità" gli permetteva anche, oltre alla vita dissennata con la quale si giocava a dadi l’indomani, di scavare, incidere, di graffiare.

In un periodo di Tronchetti Provera (o di Troncato Provera, come recitava in prima pagina, alcuni giorni fa, il brillante – e imbattibile – titolista del Manifesto) e di Prodini stappati, analcolici, il fuoco di Pasolini, a distanza di tanto tempo, è ancora capace di appiccare incendi.

Davanti ai politicanti e ai servetti di questi politicanti, davanti a quegli scardinati  intellettuali da Costanzo Show (ora relegato al pomeriggio, se Dio vuole), a quei giornalisti impomatati dell’Italietta che non tramonta mai,  l’Italia dei compromessi, degli inciuci, degli anelli di potere, delle servette e dei voltagabbana di circostanza, il vuoto lasciato da Pasolini assume le proporzioni di una galassia.

Se ne è andata l’intelligenza, con lui. Andato via anche il gusto per l’investigazione in cui bisogna sporcarsi  le mani, in cui scrivere libri non basta perché sei chiamato a  capire cosa succede intorno a te, fuori dal tuo narcisistico fazzoletto di fama.

Per lui l’intellettuale era in prima linea, sempre. Viveva al fronte, ogni giorno.
E oggi? Oggi, di quell’intellettuale vibrante, vitale, non è rimasta traccia.

La lungimiranza di Pasolini ci avrebbe regalato ben altro che libri. Ma il suo sguardo ha smesso di guardare anche per noi, e di parlare dicendo le cose che avremmo voluto dire, pensare.

É successo una notte di trent’anni fa, all’idroscalo di Ostia. La sua voce ha taciuto per sempre, annegata in un mare di sangue.

 E c’è qualcuno, ancora oggi, che sa. Che sa. Ma non parla.