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“Un mattino, al risveglio da sonni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in  un enorme  insetto”.

Un incipit lapidario, cupo, quello con cui Kafka apre La metamorfosi.

Un attacco di una forza tale da esigere lo stesso livello di tensione per tutta la storia. Il genio di Kafka ci riuscì.

Ci fu un altro genio, Nabokov, che si occupò del talento narrativo di Kafka.

Quando un maestro si occupa di un altro maestro nascono fuochi d’artificio che esplodono in cielo.

 

Il rigore investigativo di Nabokov gli fece varcare  la soglia labirintica dell’anima di Kafka, penetrandone segreti, scarti, allusioni.

In Lezioni di letteratura lo scrittore russo che scandalizzò il mondo con la sua Lolita descrive la stanza in cui il povero Gregor combatte la sua battaglia già persa in partenza, alle prese con una famiglia che non lo riconosce più.

Secondo Nabokov, eccellente entomologo, non si tratta di uno scarafaggio ma di un coleottero (lo scarafaggio è piatto, dice, mentre Gregor non lo è affatto).

 

Dunque il povero Gregor Samsa è un coleottero disperato che pesa sul mondo, più greve della sua gravità. Tutti i lettori ricordano, con un moto di raccapriccio, la scena in cui sua moglie gli tira una mela che finisce conficcata nel dorso.

 

Ma Nabokov non si limita alle indagini metaforiche, si spinge oltre e ci regala commenti che sono spunti di riflessione su cui meditare a lungo:

Curiosamente, Gregor coleottero non s’accorge mai di avere delle ali sotto il solido rivestimento del suo dorso. (È da parte mia un’osservazione molto sottile di cui dovreste far tesoro tutta la vita. Certi Gregor, certi Mario e Maria non sanno di avere le ali”).

 

Anche noi, appesantiti dall’esistenza, a volte dimentichiamo le nostre ali. Ma per quanto sbattute, agitate furiosamente mentre arranchiamo in mezzo al dolore, sono sempre là…