Perché divento irrequieto dopo un mese nello stesso posto, insopportabile dopo due?

(Bruce Chatwin)

 

 

 

Che cosa ci spinge a muoverci? Fuga o curiosità? Siamo turisti, viaggiatori o pantofolai? Seguiamo l’istinto di un nomadismo antico, insediato nella memoria, oppure ci siamo abituati alla vita stanziale?

Se potessimo scegliere, in quale luogo della terra trascorreremmo gran parte del nostro tempo?

E se potessimo scegliere, ci torneremmo ogni volta oppure vorremmo vedere anche cose nuove, altri luoghi? Rischiano magari una delusione?

 

Siamo migratori o preferiamo la fissità? Chatwin nella sua Anatomia dell’irrequietezza sosteneva che il movimento è connaturato alla natura dell’uomo, e che in questo movimento ritroviamo la  nostra andatura più autentica.

Sicuramente lui è stato un fulgido esempio del viaggiatore stralunato, romantico, di stampo ottocentesco, perennemente impegnato in incursioni che frugavano ogni angolo di questo pianeta.

 

Forse, però, a volte le migrazioni perenne sono anche fuga da sè, per poi ritrovarsi magari su un altopiano tibetano confrontandosi con la stessa, solita faccia riflessa nello specchio di un lago (e magari, invece di imitare Narciso, proviamo orrore per quel riflesso che ci rimanda le nostre inevase miserie).

 

Insomma, le geografie sono per noi punti di fuga, angolazioni, scoperte  o solo sogni nel cassetto? O neppure questi, magari?

Libere domande in ordine sparso…