Mc Donald lancia la nuova moda del Mc Italy, il famoso hamburgerone americano che sollazza i colesteroli di tutto il mondo e che, da noi, sarà fatto solo con carni bovine italiane. E non solo: olio di oliva, pane, insalata…tutto rigorosamente italiano. Evviva, evviva. Peccato per la tempesta che si è abbattuta sul povero paninazzo"nostrano", subito criticato per le calorie mastodontiche e altri fattori più americani, diciamolo, che italiani.

Ma il punto non è questo. Chissenfrega del campanilismo. Il problema è il caos imperante. Mentre sdoganiamo il panino americano e lo facciamo con i prodotti nostrani, aumentano i prodotti italiani fatti all’estero. E già.

Nella moda è un disastro. Le firme italiane  fanno pagare carissimi i loro abitini costringendo  quasi la "povera" gente che abbocca a firmare un mutuo, mentre la produzione viene affidata…alla Cina. Furbissima operazione: tu paghi una marca italiana, e loro ti affibbiano un prodotto cinese. Tu paghi molto e loro pagano pochissimo.

Ricordate lo scandalo della Nike, quando anni fa venne fuori il fatto che le scarpe venivato fabbricate in qualche paese del sud-est asiatico, obbligando tanti operai bambini a turni devastanti in cambio di una paghetta frugale? Beh, oggi è la prassi. Preferiamo far finta di niente. Ci scandalizziamo solo quando trovano qualche centinaio di cinesini in un sottoscala della provincia toscana. facciamo finta di nulla, dicevo, e continuiamo – non contenti – a farci anche prendere per i fondelli.

Consoliamoci, non è solo un  problema "nostro".

Mio padre mi ha portato da New York un paio di deliziosi – e costosi – guantini di chachemire nero targati Paul Smith. All’interno, piccola piccola, la scritta nella targhetta: made in China.

Bella fregatura.

Intanto dovremmo imparare a leggerle, quelle targhette. Non facile, in un paese che in media legge solo i menu e i cartelloni stradali.

E domandarci qualcosa sul suk commerciale nel quale stiamo vivendo.

Global, local, global…Una bella confusione.

E intanto il mondo va a rotoli, senza frontiere.

 

 

 

Non servono più complicate – e fantasiose – manipolazioni mentali per superare insanabili pene d’amore (ricordate il bellissimo film "Se mi lasci ti cancello?").

Basta una pillola, oggi.

Si chiama Amorex e sta per essere lanciata sul mercato. Si tratta di un rimedio che usa una pianta africana che verrebeb usata da secoli in Costa D’Avorio. Mah. Ci credete alle pilloline africane?

Credo che le minori …"sentimental tenzoni" africane siano dovute a un diverso modo di vivere.

E, comunque, l’uomo ha sempre sofferto per amore. A ogni latitudine e longitudine.

In ogni tempo e in ogni luogo.

Perfino nei paesi più ieratici e spirituali.

Il dolore cocente di una delusione sentimentale è universale. Ha riempito la letteratura e la poesia. L’uomo ne ha tratto ispirazione, ha fatto di amori e passioni il perno della sua creatività, le ha sublimate nell’arte, le ha cantate, celebrate, dipinte e suonate.

Non riesco a immaginare un Leopardi o un Dante, tanto per fare qualche…microscopico esempio, senza le loro muse. E l’amore, si sa, è anche dolore.

E’ tensione, inganno e illusione. Ma è anche verità, spazio dell’essere.

Il lutto per la fine di un amore fa sempre male. Ma serve. Serve a crescere, a maturare, a succhiare la linfa di un’esperienza.

Invece la nostra società moderna fa del dolore uno spettro da allontanare, un nemico dell’uomo che, come un ebete, dovrebbe vivere in un perenne stato di rilassato rincoglionimento.

Diciamolo, le pene d’amore sono un "sale" nella vita. Non si tratta di masochismo, ma di un gusto deciso, un gusto che si accompagna alla dolcezza dei momenti estatici e che ne rappresenta il suo contraltare. Non c’è unione senza separazione, né gioia senza dolore.

La fine di un rapporto non è un file da archiviare con un click. E nemmeno una gastrite noiosa da curare con uno sciroppo.

E’ un processo che fa parte della vita, che ci rende gli uomini e le donne che siamo, che fa parte di noi e della nostra storia individuale.

Anche gli amori non corrisposti fanno soffrire, fanno soffrire tanto. Eppure. Eppure servono. Questo dolore serve.

Invece eccoci qua, con una bella pillola da prendere con un poco di zucchero (ricordate Mary Poppins?) e voilà, ogni tristezza è cancellata.

E pensare che i replicanti di Blade Runner temevano di non avere emozioni, di non essere abbastanza "umani" mentre noi, noi vogliamo diventare "alieni".

Mi spiace, io a questa pillola rinuncio.

Mi tengo le notti insonni, le malinconie, le lacrime.

Quelle che ho avuto e quelle che avrò.

Di ogni amore, alla fine, ricordiamo in modo sereno anche il dolore. Perchè il dolore è un processo, fa parte di un gioco più grande, è il grande traghettatore che ci porta altrove, facendoci approdare in luoghi nuovi.

E’ un viaggio. E non si può arrivare alla meta senza fare il viaggio, piacevole o spiacevole che sia.

Di ogni amore, alla fine, manteniamo una memoria completa, compiuta, racchiusa fra gli estremi della gioia e della sofferenza.

Se togliamo al sofferenza, togliamo qualcosa di importante anche all’amore.

Non importa se si tratti di vero amore o di illusioni, di armonie o di disordinate passioni. Ogni esperienza ci porta da qualche parte. Ogni dolore ci educa, ci insegna qualcosa.

E’ come se volessimo costruire un palazzo senza finestre per paura che passi troppa luce, o che ci siano troppi spifferi. Ed è una finestra, il dolore. Una finestra su noi e sul mondo, su come viviamo e come pensiamo.

I sentimenti non possono non farci anche soffrire. Altrimenti sarebbero solo vizi logici, o cavilli della ragione. Sarebbero esemplari in fila indiana, e non cecchini improvvisi (o Cupidi) che ti colpiscono quando, ignaro, attraversi una strada.

Niente pillola, grazie.

E poi, lo sappiamo, il dolore, specialmente quello che riguarda le pene d’amore, alimenta la creatività, ci costringe a soluzioni interiori ed esterne, ci stimola quanto la gioia.

Lo sanno bene gli inglesi, quando scrivono "happiness writes white". La felicità scrive bianco.

Niente pillola, e niente zucchero. Prima o poi, andrà giù lo stesso…

 

 

 

Doveva morire, Michael Jackson, per sfiancare la leggenda metropolitana del "negro che voleva essere bianco".

Alla fine, si sono accorti un po’ tutti che si trattava di una malattia della pelle, la vitiligine. Certo, lui aveva soffiato vento su questo incendio, con il suo nasino appuntito, il volto rifatto, i capelli piatti come il mare all’alba. E aveva fatto scandalo.

Nessuno si scandalizza, invece, davanti alle frotte di bianchi che vogliono diventare neri.

Ogni estate, puntuali, ci crogioliamo al sole per prendere la tintarella. Che, a voler essere puntigliosi, altro non è che la difesa della pelle davanti all’aggressione dei raggi solari.

Dunque la melanina, che evoca il bel  colore caldo del cioccolato, è solo una reazione.

Alcuni anni fa andava di moda l’abbronzatura selvaggia, quella senza creme di protezione, quella che faceva preparare pappette di carota e olio di oliva, che ci faceva mangiare la frutta (non per la salute, per carità: la tintarella).

Ora è tornata la tinta lunare, in uno stile retrò, all’inseguimento di quella bellezza diafana e patrizia che un tempo distingueva le dame di classe dalle contadinotte con la faccia rosso pomodoro.

Ma anche questa moda cambierà. Cosa non cambia, è il fatto che tutti d’estate lavoriamo alacremente per diventare "neri".

Ma nessuno si allarma. Nessuno lo trova bizzarro. Nessuno grida "al bianco! al bianco! al bianco che vuole diventare negro!".

Ma se un negro prova invece a diventare bianco (ammesso che ci riesca) si trova davanti un plotone di esecuzione.

Chissà perché.

Forse perché un pizzico di razzismo striscia, clandestino, nel nostro inconscio?

Siamo ancora abituati a considerare i figli di Kunta Kinte una variante minore? No.

Non, perlomeno, alla luce del sole. E allora dovremmo piantarla di considerare innaturale un eventuale cambiamento cromatico della pelle di altri, mentre la nostra, d’estate, si trasforma in tutte le tinte del cioccolato, da quello fondente ai variegati Nutella.

Se ci togliessimo un attimo dalle nostre abitudini, forse ci troveremmo davvero ridicoli: tutti lì, in fila sul lettino, a voler essere "neri per forza" (e non per caso).

Ma le mode e le convenzioni, si sa, ci abituano a non pensare.

 


 

 

Sarà, ma ogni volta che vedo le pubblicità del tonno Nostromo mi viene una crisi allergica.

Specie durante quella in cui lui si pappa il tonno dicendo, fra uno gnam gnam e l’altro "E’ tua suocera" a quel popò di tonno spilugone in piedi (anzi, in pinne) sulla porta della baracchetta. Tra l’altro, non so perchè ma ogni volta quel tonno mi fa pensare a Pinocchio, quello di Comencini.

Comunque, in questa pubblicità, sarcasmo oblige.

Ma a me non piace. Trovo il tutto di cattivo gusto. Cattivissimo. Non fa ridere. Non fa "piangere". Insomma, si rimane come…baccalà.

Il sarcasmo, l’ironia, sono armi che chiedono di essere manovrate dall’intelligenza. Altrimenti risultano insipide, come un tonno senz’ olio (per rimanere in tema).

E se qualcuno obiettasse dicendo che è la fine che fanno sul serio, quei tonni, e che è più onesto raccontarli così che farli somigliare ai grissini, rispondo che allora preferisco le cruente pubblicità che ho trovato in Sicilia, con l’immagine del povero tonno, sbigottito e agonizzante, che viene sollevato dalla rete in cui è stato trafitto durante il rito macellaio della mattanza.

Beh, a dire il vero, preferirei, alla fine, sognare. E immaginare che il buonissimo tonno sott’olio sia nato così, senza pinne nè occhietti nè vita precedente, pronto nella sua culla di latta. Che in realtà è una tomba. E in realtà, occhi pinne e sangue c’erano. E c ‘era anche la mattanza, che ci piaccia o no.

La pesca al tonno è davvero cruenta. Ma quantomeno è più "vera" di questa pubblicità grottesca.

E comunque, una suocera sott’olio la vorremmo tutti. La vorremmo lì, mangiata da un anonimo marinaro scorbutico, che la faccia sparire in clandestinità. Piano piano, senza che se ne accorga nessuno. Un po’ come succede ai defunti cinesi.

 

 

 

N.B. Avevo già scritto il post quando ho avuto notizia del disastro aereo delle Comore. Ho deciso, dopo averci pensato, di lasciarlo comunque. Perché la sincerità è meglio dell’ipocrisia. Toglierlo dopo averlo pubblicato sarebbe stato "falso", dato che era stato scritto senza conoscere questa tragedia. E perché io fra due giorni volerò comunque, e perché  come me ogni giorno migliaia di persone attraversano i cieli. E un po’ di ironia su alcuni aspetti un po’grotteschi forse ci aiuta a distendere un po’ i nostri timori. Perchè di fatto, volare è un rischio davvero. Lo sa bene chi, oggi, dopo il disastro aereo non ha più un futuro.

Finalmente qualche giorno di stacco. Vado in Sicilia. E prendo l’aereo. Ogni volta, come capita a molti, provo una leggera vertigine al pensiero di rimare bloccata lassù, per aria, con i finestrini sigillati. Nessuno va pazzo per gli aerei, siamo onesti. Ma è una paura che si vince, sopraffatta dal pensiero dei luoghi che visiteremo, delle persone vecchie  e nuove che incontreremo, della "vacanza della mente" in cui ci infileremo.

L’unica cosa che, ogni volta, mi urta, è il discorsetto inaugurale delle hostess (non prendo l’aereo da un po’, ma non credo sia cambiato).

Si piazzano lì, in mezzo al corridoio, con il loro sorriso che allaga la faccia e l’altezza…celestiale; iniziano a fare segnali da vigile mentre ti spiegano cosa fare nel caso l’aereo avesse problemi. E tu NON vuoi assoultamente che abbia problemi, l’aereo. E non vuoi neppure pensarci. Fai di tutto, prima della partenza, per ignorare il fatto che da lì a breve i tuoi piedini non toccheranno più nessun suolo, che per nessuna ragione potrai uscire o aprire un finestrino (a meno che tu non faccia come la mia vecchia insegnante di storia dell’arte, che durante il volo a New York, vinta dalla claustrofobia, chiese alla hostess di turno: "posso aprire il finestrino per fare entrare un po’ d’aria?" e alla - ovvia – risposta negativa lasciò che il panico dilagasse…preferiva farsi fare lo scalpo dall’aria, lei, piuttosto che sostenere il concetto di "finestrino sigillato"). Non scenderai e starai buono buono per tutto il viaggio, lungo o corto che sia. Cerchi di non pensare che i i palazzi tra poco saranno grandi come puntini neri su un ippopotamo, cerchi di evitare ogni richiamo a quella sospensione da terra quando loro, le hostess, ti sbattono in faccia non solo la concretezza del volo, ma addirittura la possibibilità di guasti, ammaramenti, atterragi di fortuna (o nessun atterraggio, se sei davvero sfigato).

Ladies and gentlemen please pay attention as we display the safety features and procedures of this aircraft in case of emergency. Even if you are a frequent flyer you should listen careully to the indication of the flight attendants.

Each seat in this aircraft has a safety-belt that must be fastened when the appropriate signals are on. Please notice how to fasten, fit, and unfasten the seat-belts. For you own safety, we suggest you to keep you seat-belt fastened anytime while seated.

During an emergency please remain in your seat with your seat-belt fastened and your seat in the up-right position.

In case of a drop in cabin pressure breathing masks will drop from the ceiling. Wear you mask and breathe normally. If someone needs help wearing the mask, remember to wear yours before helping others.

During an evacuation of the aircraft the walkway emergency lights will guide you to the emergency exits, which are located in the front, middle and rear part of the cabin. Please locate the exit colser to you, and notice it could be behind you.

In case of an emergency landing you will instructed to get into the "brace" position which is shown in the safety sheet you can find in front of you seat. You must get into the "brace" position if you hear the order "Brace, brace!".

In the unlikely case of an emergency landing in water, the life jacket is located under your seat. You must wear the life jacket as shown by the flight attendants, and inflate it only outside the aircraft. The life jacket will inflate automatically if you pull the strap you can find on your chest. If this doesn’t happen, you can find a rubber straw which can also be used to inflate the jacket. On the jacket you can find a torch and a whistle.

For any information about the safety issues of this airplane please check the safety card located in front of you seat and feel free to ask the flight attendants.

As we prepare for take-off, we ask you to check that your seat-belt is fastened, you table is up and locked, and you seat is in the up-right position.

We thank you for your attention and we wish you a pleasant flight!"

E se per caso sei fortunato e non sai l’inglese, ecco che ti becchi, subito dopo, la traduzione:
"Signore e signori cortesemente prestate attenzione alla dimostrazione delle caratteristiche e delle procedure di sicurezza di questo aeromobile. Anche se siete soliti volare frequentemente vi invitiamo ad ascoltare con attenzione lee indicazioni degli assistenti di volo.

Ogni posto di questo aeromobile è dotato di una cintura di sicurezza che deve essere indossata mentre l’apposito indicatore è acceso. Osservate come agganciare, regolare e sganciare le cinture di sicurezza. Per la vostra sicurezza, vi invitiamo a tenere le cinture allacciate per tutto il tempo in cui siete seduti.

Durante un’emergenza rimanete seduti ai vostri posti con la cintura di sicurezza allacciata ed il sedile in posizione verticale.

Nel caso di una depressurizzazione della cabina, le maschere ad ossigeno usciranno da appositi scomparti collocati nel soffito dell’aereo. Indossate la maschera e respirate normalmente. Se un altro passeggero necessita di aiuto per indossare la maschera, vi ricordiamo di indossare la vostra prima di aiutare altri.

Durante l’evacuazione dell’aeromobile alcune luci di emergenza mostreranno un sentiero luminoso che vi condurrà alle uscite di emergenza, che sono posizionate nella parte anteriore, centrale e posteriore dell’aeromobile. Identificate l’uscita a voi più vicina, e ricordate che potrebbe trovarsi dietro di voi.

Nel caso di un atterraggio di emergenza vi verrà indicato di assumere la posizione di sicurezza, che è mostrata nell’opuscolo che trovate di fronte al vostro sedile. Dovete assumere la posizione di sicurezza non appena udite il comando "Brace, brace!".

Nell’improbabile eventualità di un ammaraggio, potete trovare un giubbotto galleggiante sotto il vostro sedile. Il giubbotto va indossato come mostrato dagli assistenti di volo, e gonfiato solo all’esterno dell’aereo. Il giubbotto si gonfierà automaticamente tirando l’apposito nastro. Se questo non dovesse succedere, potete gonfiare il giubbotto utilizzando l’apposito tubo di gomma. Attaccati al giubbotto trovate anche una lampada di segnalazione ed un fischietto.

Ci stiamo preparando al decollo, pertanto vi invitiamo a controllare che la vostra cintura di sicurezza sia correttamente agganciata, che il tavolino sia sollevato e bloccato e che il vostro sedile sia in posizione verticale.

Per ulteriori informazioni circa la sicurezza a bordo di questo aeromobile vi invitiamo a leggere l’apposito opuscolo che trovate di fronte a voi, e vi ricordiamo di non esitare nel chiedere informazioni agli assistenti di volo.

Vi ringraziamo per l’attenzione e vi auguriamo un piacevole volo

Un volo piacevole se state zitte, per favore. Io a guardare quelle improbabili uscite di sicurezza mi sento male. Infatti ogni volta "fischietto" e guardo fuori dal finestrino, guardo le ultime valigie che vengono caricate, guardo l’ala dell’aereo, guardo il cielo…insomma guardo tutto ma non loro.

Le istruzioni sono preziose. Come dire: moriremo, sì, ma…"istruiti". Con il nostro bel manuale di viaggio.

Comunque, al di là del disagio iniziale, quando l’aereo decolla la sensazione è davvero incredibile: ti senti sospeso, galleggi in un vuoto in cui gli spazi esterni all’improvviso sembrano deformi: troppo piccoli, troppo lontani, troppo vicini…Troppo. Sempre un "troppo" di mezzo a falsare la sensazione della realtà, delle proporzioni ordinarie, delle fughe prospettiche.

Adoro quel momento, io. E’ un po’ come tornare bambini, quando andavamo in altalena e il vuoto ci dava quei piacevoli brividini sulla pancia che  non aveva farfalle ma interi gruppi di coleotteri.

Ecco, se le hostess tacessero supererei meglio quell’attimo di disagio che precede la meraviglia del volo.

Tanto, lo sappiamo una volta "lassù", c’è poco da fare.

C’è solo da godersi il volo e chiedere a quei sorrisoni una bella bibita. Magari gelata.